“Come sviluppare l’intelligenza emotiva” il nuovo webinar

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Mai come in questo periodo è fondamentale essere consapevoli delle proprie emozioni, saperle riconoscere e gestire. Mai come in questo momento l’intelligenza emotiva è una risorsa che ci può aiutare ad affrontare il presente, così privo di certezze. Saper affrontare le situazioni così volatili e fluide richiede una grande dose di equilibrio. Siamo chiamati costantemente a concentrarci su come affrontare la quotidianità: i contagi, le quarantene, green pass base, green pass rafforzato, tamponi, falsi positivi : non è facile destreggiarsi in questa giungla di nuove norme, ordinanze e divieti. Anche l’equilibrio di un monaco zen ne sarebbe messo duramente alla prova.

Conoscere le proprie emozioni

Grazie alla consapevolezza, però, possiamo affrontare le situazioni complesse con grande centratura perché siamo in grado di agire con equilibrio, senza farci assalire da stati di ansia e paura. Anche avere buone relazioni e poter contare su un sistema di relazioni positive, solide è fondamentale, oggi più che mai. Perché per affrontare le situazioni complesse occorre anche una buona dose di coraggio e il coraggio spesso ci viene anche dal sostegno dalle persone che ci stanno intorno, dai nostri famigliari, amici e colleghi. Le comunità da sempre si stringono intorno all’individuo e insieme ci si sostiene per fronteggiare i pericoli e le avversità. Poter contare su relazioni sane e affidabili è fondamentale per poter agire con forza e determinazione. Essere dotati di intelligenza emotiva significa tutto questo, perché è un’abilità sociale: lo vediamo tutti i giorni. Una capacità di sapersi mettere in relazione con gli altri e costruire rapporti improntati all’ascolto e al rispetto. Siamo tutti profondamente connessi. Nessun si salva da solo, è il mantra che abbiamo imparato a conoscere in questi due ultimi , lunghissimi anni. Secondo il World Economic Forum l’intelligenza emotiva è, a partire dal 2020, tra le dieci competenze essenziali. Il futuro è fatto di persone in grado di capire l’essere umano.

Mettersi in ascolto degli altri

E’ scientificamente provato che le persone intelligenti emotivamente ascoltano, riconoscono e utilizzano le proprie emozioni per comprendere meglio se stesse e gli altri. Le loro emozioni le guidano verso ciò che che amano fare nella vita e allontanarsi da ciò che non desiderano, sono consapevoli dei propri punti di forza e riconoscono le aree di miglioramento. Sanno assumere la responsabilità delle loro scelte, sanno riconoscere i loro bisogni e sanno mettersi in ascolto  di quelli degli altri. Attraverso l’empatia e la compassione sanno costruire relazioni solide, profonde e conoscono le modalità per poter gestire i conflitti. Sono persone che sanno affrontare le situazioni, anche le più complesse, con equilibrio, spirito costruttivo. Questo permette loro di poter collaborare in tutti gli ambiti, sia personali che professionali, con estrema capacità di ascolto e di connessione con coloro che li circondano.

Cos’è l’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva è dunque una preziosa alleata proprio perché è la capacità di riconoscere, comprendere, gestire le proprie emozioni e quelle altrui. Nella sua sistematizzazione del concetto, Daniel Goleman, nel suo bestseller , “”L’intelligenza emotiva”, ha individuato 5 caratteristiche principali di questa abilità :

  1. la consapevolezza
  2. la padronanza di sé e l’autocontrollo
  3. la motivazione
  4. l’empatia
  5. le capacità relazionali

Sviluppare l’intelligenza emotiva

Perchè è così importante? Le persone emotivamente intelligenti sanno conciliare ciò che la mente, la nostra voce interiore dice con le nostre emozioni e sentimenti. Sono sicure di sé perché in grado di conoscersi e controllarsi, sanno gestire lo stress, vanno d’accordo con gli altri e nella maggior parte dei casi sono ottimiste e aperte al cambiamento. L’intelligenza emotiva è una specie di super potere, un alleato prezioso per raggiungere i propri risultati. La buona notizia è che, a differenza dell’intelligenza misurabile con il Quoziente Intellettivo, l’intelligenza emotiva si può sviluppare e coltivare. Saper riconoscere le emozioni -soprattutto quelle negative-, quando stanno per palesarsi, e saperle controllare, ci permette di avere relazioni sane e gratificanti con gli altri.

L’alfabeto degli affetti

Conoscere l’alfabeto degli affetti è fondamentale per poter interagire in tutti i tipi di rapporti: in famiglia, nelle relazioni affettive, sul posto di lavoro. Il 75% dei conflitti nel mondo del lavoro nasce proprio da motivazioni legate alle competenze emotive. Al contrario, essere persone in grado di comprendere i bisogni degli altri, sapersi mettere nei panni altrui, contribuisce a instaurare ambienti sereni e di grande collaborazione. Essere persone empatiche ci mette sotto una luce estremamente positiva e ci fa sentire persone apprezzate, stimate e ricercate. Questo non fa che accrescere l’autostima, creando quel circolo virtuoso che trasmette sentimenti positivi, di grande serenità ed equilibrio.

Il percorso per allenarla

Per poter allenare e sviluppare l’intelligenza emotiva è possibile partecipare ad un webinar, strutturato in 4 diversi incontri . Gli incontri avranno la durata di due ore l’uno e tratteranno i temi presenti nel programma che trovate qui sotto.

Durante il webinar si alterneranno momenti teorici a esercizi pratici per poter accrescere la consapevolezza di quanto appreso. Un incontro di crescita personale e professionale.

Le date

Il calendario prevede 4 incontri in queste date:

-8 Febbraio 2022 dalle 18.00 alle 20.0

– 22 Febbraio 2022 dalle 18.00 alle 20.00

– 1°Marzo 2022 dalle 18.00 alle 19.30

– 15 Marzo 2002 dalle 18.00 alle 20.00

Per informazioni e prenotazioni [email protected]

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Colora il tuo futuro

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“Colora il tuo futuro” è stato il titolo dell’ultimo workshop di ArtCoaching dell’anno. Come da tradizione, la fine dell’anno è l’occasione per tracciare un po’ il bilancio di quanto abbiamo vissuto nel corso del 2021. E’ il momento in cui si analizza quanto è stato fatto: si verifica se le attese e gli obiettivi che avevamo espresso all’inizio dell’anno si sono verificati.

Flessibili e resilienti

Il più delle volte non è così: l’imprevisto è sempre in agguato. Le circostanze esterne- e negli ultimi due anni le circostanze hanno avuto un nome che abbiamo quasi paura a pronunciare – hanno cambiato il corso dei nostri progetti. Abbiamo imparato però a gestire l’emergenza. Siamo stati flessibili e siamo riusciti a cambiare in corsa quel progetto, quell’iniziativa che avevamo in animo di realizzare. Il più delle volte il bilancio dell’anno concluso ci porta a riconoscerci più flessibili, adattabili. L’anno scorsa la parola più in voga e utilizzata è stata resilienza. Quest’anno la resilienza è diventata una caratteristica insita in noi. Siamo intrinsecamente resilienti. E’ diventato un tratto caratteriale. E’ entrato nel nostro Dna. Il futuro sarà abitato solo da resilienti. Ma qual è la parola dell’anno 2021? Ce lo siamo chiesto durante il nostro workshop.

La parola dell’anno

Sicuramente il vocabolario è stato più vario quest’anno. Le parole magiche sono state equilibrio, condivisione. Ci siamo assuefatti alla situazione circostante, che da eccezionale è diventata ormai normale. Per poter affrontare i marosi e le tempeste occorre essere in equilibrio. E’ come essere su una tavola di surf e cercare di solcare le onde senza mai cadere. Un equilibrio precario, ma pur sempre equilibrio. Questo grazie alla consapevolezza di sé, la capacità di non farsi sopraffare dalle circostanze esterne, come se avessimo una bussola interiore che ci indica sempre la direzione che dobbiamo intraprendere. Essere centrati e allineati. Abbiamo imparato ad affrontare il futuro con questa nuova consapevolezza.

Condividere

L’altra parola magica che sicuramente ha caratterizzato il 2021 è stato condivisione. Dopo il forzato distanziamento a cui siamo stati costretti l’anno scorso e nella prima parte di quest’anno, abbiamo apprezzato ancora di più il valore degli affetti, dello stare insieme. Da incalliti individualisti abbiamo imparato ad apprezzare la collettività. Abbiamo apprezzato il valore degli altri. Abbiamo imparato a non dare nulla di scontato. Abbiamo cominciato ad apprezzare quelle situazioni che credevamo fossero la norma e invece non lo erano. Ogni giorno dobbiamo essere consapevoli che è un dono. Dobbiamo coltivare la gratitudine quotidianamente. Essere consapevoli di quello che abbiamo, concentrandoci sulla presenza e non sull’assenza.

Un esercizio di consapevolezza

Provate anche a voi a fare lo stesso esercizio che abbiamo fatto noi ieri durante il workshop: quale parola ha caratterizzato il vostro anno? Per i più creativi la domanda potrebbe anche essere “se fosse stato un film l’anno che si sta concludendo, che film sarebbe stato?” E’ il gioco del “se fosse” che abbiamo fatto tutti da bambini. Lasciar andare l’immaginazione ci aiuta a connetterci con il nostro io più profondo. Uscire dagli schemi mentali ci porta a essere più spontanei, più creativi. Diventare per un po’ bambini ci aiuta a liberarci dai condizionamenti. Possiamo mettere le ali alla nostra fantasia. Provateci, sarà piacevole. Durante il nostro workshop ci siamo liberate e abbiamo dato libero sfogo alla creatività e i risultati sono stati davvero sorprendenti. Liberi dal lasciarsi andare…

Cosa ci riserva il futuro

Se è vero che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, è nel visualizzare il proprio futuro in maniera creativa che possiamo gettare le basi per la creazione di ciò che ci sta veramente a cuore. Provate ancora una volta a trare ispirazione da un film o anche solo dal titolo per iniziare a visualizzare ciò che vorreste davvero realizzare. Mettetevi in ascolto del vostro istinto, della vostra anima per capire cosa vi fa stare veramente bene. Sarà la bussola che vi indicherà la strada da percorrere. Per essere artefici del vostro destino e per colorare il vostro futuro. Buon 2022 di consapevolezza a tutti.

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Il potere del “noi”

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Avete mai provato a pensare quante volte durante il giorno pronunciate il pronome “noi” e quanto “io”‘?

Le ricerche in campo psicologico dimostrano che l’uso dei pronomi “noi” è associato a relazioni più felici e a una migliore risoluzione dei conflitti rispetto a quando ci concentriamo su “me” e “te”.

Il contesto storico in cui stiamo vivendo e la pandemia ci ha insegnato una grande verità” nessuno di salva da solo”. Lo vanno ripetendo i leader illuminati che hanno affrontato in maniera più efficace la situazione dal punto di vista sanitario.

“Nessun uomo è un isola”

La poesia di John Donne sull’importanza di rimanere uniti di fronte alle avversità ne è un’ulteriore testimonianza. Ma torniamo all’uso del “noi”. L’utilizzo del pronome plurale dimostra ancora una volta il potere delle nostre parole e del nostro linguaggio nell’influenzare la nostra prospettiva e il nostro pensiero. Quando scegliamo le parole giuste, possiamo influenzare la nostra mente in modo potente. Pensiamo al nostro dialogo interiore e riflettiamo sull’utilizzo delle parole e al loro significato. Per chi esercita la professione di Coach è fondamentale ascoltare e prestare attenzione all’utilizzo delle parole stesse. Le parole esprimono il nostro pensiero, il nostro sentimento, le nostre emozioni. Prestate attenzione al modo in cui vi esprimete. A volte basta una parola per cambiare completamente il tono di ciò che stiamo comunicando. E questo ovviamente si riverbera sulle nostre relazioni. Un utilizzo delle parole attento e rispettoso si riflette nella qualità delle nostre relazioni. Alzare i toni, urlare non favorisce certamente il dialogo, lo scambio, la comprensione.

Chi dice noi ha relazioni più felici

In un’analisi pubblicata sul Journal of Social and Personal Relationships, i ricercatori hanno analizzato 30 studi su quasi 5.300 partecipanti e hanno scoperto che le coppie che spesso dicono “noi” hanno relazioni di maggior successo e sono complessivamente più felici e più sane.

In totale, i ricercatori hanno esaminato cinque diverse misurazioni: risultati della relazione (soddisfazione, durata dell’unione), comportamenti relazionali (interazioni positive vs. negative osservate), salute mentale, salute fisica e comportamenti sanitari (quanto bene i partecipanti si prendono cura di se stessi) .

La leadership ragiona con noi

Non è solo nelle relazioni di coppia che il passare dall’esprimerci ( e comportarci) in termine di “noi” porta i suoi benefici. Lo ritroviamo in tutti i rapporti: di amicizia, in famiglia, sul lavoro.

Nei colloqui di lavoro, uno studio pubblicato dall’Institute of Electrical and Electronic Engineers ha scoperto che l’uso di “Noi” invece di “Io” era un potente predittore di candidati valutati in modo più favorevole, compreso l’essere visti come più positivi e amichevoli. Nei ruoli di leadership, uno studio pubblicato su Developmental Psychology ha scoperto che l’uso di un linguaggio incentrato sul gruppo come “Noi” prevedeva chi sarebbe stato eletto come leader. L’uso di “noi” implica un legame di gruppo: una partnership, una squadra, una famiglia, una tribù, una comunità. Quando usiamo “noi” , colleghiamo automaticamente i nostri obiettivi, valori e intenzioni ad altre persone che riteniamo essere nella nostra stessa condizione. Nessun si salva da solo, appunto. Del resto la nostra natura di animali sociali ci ha portato ad evolverci e a crescere.

Il potere del noi accresce l’empatia

Cerchiamo di analizzare le ragioni del valore dell’esprimerci e agire in termini collettivi e non individuali. Il potere del “noi” aiuta a creare un senso di:

Identità condivisa

quando usi il termine “noi”, stai facendo sapere alle persone che fanno parte del tuo gruppo. Questo sviluppa un potente senso di appartenenza e identità collettiva (che si tratti di una famiglia, un’azienda, una squadra sportiva, una religione o nazione). I leader di successo sono in grado di creare nuove identità ed estendere la loro definizione di “noi” per portare nuove persone nella loro cerchia di empatia. E’ una delle principali caratteristiche dell’intelligenza emotiva essere empatici: mettersi nei panni degli altri, comprendere le situazioni e gli stati d’animo altrui. Significa sapere creare un ambiente armonico, fatto di ascolto e comprensione. Non c’è una frattura fra me e te. Ci siamo noi.

Obiettivi condivisi

Il sintonizzarsi sul “noi” aiuta le nostre relazioni perché consente alle persone di percepire che si sta lavorando insieme per raggiungere il medesimo obiettivo o risolvere un problema. Dire “Dobbiamo risolvere questa situazione ” o “Dobbiamo prendere una decisione su questo argomento ” è molto più amichevole e cooperativo che dire “Devi risolvere questa situazione ” o “Devo prendere una decisione su questo argomento.” Il “noi” implica il lavoro di squadra e uno sforzo e investimento reciproco da parte di tutti.

Risultati condivisi

Il “noi” non riguarda solo la condivisione dei problemi, ma anche la condivisione dei risultati e dei momenti piacevoli. In generale, le coppie che impiegano più tempo per riflettere su ricordi positivi e condividere nuove esperienze insieme, lavorare su progetti comuni tendono ad essere più felici e più sane, e pensare in termini di “noi” enfatizzerà questa verità. Condividere i successi con il proprio partner, con chi ci sta vicino rafforza la relazione e il loro credito, soprattutto se si fa sapere loro che non si sarebbe potuto raggiungere il risultato senza la loro presenza. Essere felice per il successo di chi ci sta accanto come se fosse nostro: fare i complimenti alle persone, congratularsi e far sapere loro che ne siamo orgogliosi . Il successo è il più delle volte frutto di una combinazione di molte persone che lavorano insieme, quindi il “noi” aiuta a evidenziarlo e a sottolineare quella crescita e successo condivisi.

Spostare il focus da sè agli altri

Lasciar andare “me” – Concentrarsi troppo su “me” è spesso un segno di depressione. Il fatto di continuare a rimuginare su se stessi, sui propri problemi non ci fa crescere e progredire. Rimanere troppo concentrarsi su stessi può, alla lunga, portare ad una fossilizzazione. Per rompere questo schema dobbiamo uscire da noi stessi e concentrarci su cosa possiamo fare per aiutare gli altri. Questo è uno dei motivi per cui è stato dimostrato che avere una mentalità generosa, come compiere atti di gentilezza e volontariato, migliora la salute mentale. La gentilezza ci dà l’opportunità di spostare la nostra attenzione lontano da “me” e verso il “noi” più grande dell’umanità.

Parlare più “noi” ha molti potenziali vantaggi, ma il più importante è che cambia radicalmente il modo in cui vediamo noi stessi e le nostre relazioni nel complesso.

La natura umana è interconnessa. Ogni individuo è in parte definito dalle relazioni che lo circondano (famiglia, amici, persone care, colleghi, conoscenti, ecc.), e in fondo le nostre vite sono tutte influenzate dalla qualità di queste relazioni.

“Nessun uomo è un’isola” è una verità fondamentale, che tu possa vedere il tuo “noi” o meno.

Per costruire felicità e significato nella nostra vita, spesso abbiamo bisogno di costruire relazioni strette e profonde con gli altri. Ciò ci impone di vedere il nostro benessere come sovrapposizione con il benessere degli altri.

Una volta compresa questa verità fondamentale, dire “noi” inizia ad essere più naturale oltre che dimostrare che:

“Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di dare, non in ciò che è capace di prendere” Albert Einstein

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Come liberarsi dal bisogno del controllo

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Quante volte ci siamo sentiti sopraffatti dal bisogno di controllare tutto e tutti? Il tema è già stato affrontato più volte. Eppure la realtà ci pone di fronte quasi quotidianamente a persone che non riescono a vivere in maniera serena, senza dover agire con questo bisogno del controllo spesso esasperato.

Per prima cosa occorre chiedere perché si agisce così? Le ragioni sono molteplici, ma la risposta più diffusa è l’incapacità di poter far fronte agli imprevisti, la non capacità di misurarsi con situazioni inaspettate. Esercitare il controllo significa avere sempre tutto…sotto controllo, appunto. Pensare che tutto si possa svolgere e realizzare secondo quanto abbiamo programmato ci dà sicurezza, ci dà la percezione che tutto si possa svolgere senza imprevisti. L’incapacità di gestire l’imprevisto è sempre sintomo di insicurezza, genera stress. Spesso è la spia di una scarsa autostima.

Controllo ergo non sbaglio

Non sapersi misurare con quanto crediamo di non conoscere, la paura dell’ignoto è ciò che spesso alimenta questo nostro desiderio di esercitare il controllo. Come se nella nostra testa volessimo immaginare, ripercorrere quello che dovrebbe succedere. Come in una rappresentazione teatrale, dove l’attore prova e riprova la stessa scena. Ma lì esiste una piéce, un autore che ha previsto come la scena da copione debba svolgersi. Ma la vita – fortunatamente- non è così. Esistono gli imprevisti, le situazione inaspettate. La nostra esistenza è piena di colpi di scena, a volte fortunati, a volte meno. Ma il sapersi misurare e il sapersi adattare è il bello della vita stessa. Vorremmo forse un’esistenza in cui l’esito finale fosse già conosciuto? Vogliamo già conoscere come va a finire il nostro film? La risposta è no. Dobbiamo invece poterci organizzare come se avessimo a disposizione una cassetta degli attrezzi, uno per ogni situazione davanti alla quale ci si trovi. Uno per ogni guasto che si possa palesare. Un cacciavite, una chiave inglese per qualsiasi emergenza…

La libertà di trovare la soluzione

Non pensate che essere attrezzati a gestire ogni imprevisto sia sinonimo di grande libertà? Significa non essere ingabbiati nella schiavitù della paura. La paura di sbagliare. Di non essere all’altezza. Sapere che dentro di noi ci sono tutte le risposte e le risorse per affrontare ogni circostanza, lo strumento giusto al momento giusto, ci fa sentire consapevoli della nostra forza interiore. Superare la paura di commettere errori. Perché cos’è l’errore? Che cosa ci spaventa tanto? Il giudizio degli altri ? La nostra percezione di non essere all’altezza? E per chi? per noi? Per gli altri? Liberiamoci da questa paura. Spesso dagli sbagli si impara. Quindi perché avere paura dell’errore? Anzi, ci aiuta a migliorarci e ad evolverci. Sbagliando si impara, lo dice anche il proverbio.

Imparare dagli errori

Quindi ben venga l’errore, se ci può aiutare a superare una nostra resistenza, un nostro limite. Ci insegna ad essere flessibili. Se tutti i giorni ripetiamo ossessivamente le stesse azioni, senza introdurre mai nulla di nuovo, ci sentiamo appagati? Forse plachiamo la nostra ansia momentanea, ma poi ci atrofizziamo. Non cresciamo, non evolviamo. Se, viceversa, ci troviamo di fronte ad una nuova circostanza, possiamo mettere a frutto la nostra capacità di problem solving. E una volta trovata la soluzione, la nostra autostima ne trae giovamento. E’ un circolo virtuoso: affronto il nuovo, trovo la soluzione, sono fiero di me. E sono di nuovo pronto ad affrontare una nuova sfida. Lanciarsi in nuovi progetti, in nuovi modi di affrontare le situazioni ci permette di uscire da quella zona di comfort nella quale ci siamo confinati. Il bisogno di controllo spesso è anche un modo per boicottarci. Non volerci mettere alla prova proprio per rimanere confinati nel nostro cantuccio. Aprirci al mondo significa metterci anche in ascolto di noi stessi. Significa prendere consapevolezza delle nostre capacità.

Le aspettative disattese

Se vogliamo liberarci dal bisogno del controllo, dobbiamo anche liberarci dalle nostre aspettative. Sono loro spesso le nostre gabbie. Sono diverse le aspettative che spesso noi nutriamo:

-nei confronti di noi stessi,

-nei confronti degli altri,

-nei confronti della vita in generale.

Nutrire aspettative significa essere condannati ad una vita dove il più delle volte sono disattese. E questo non può che generare frustrazione e spesso rabbia. Innesca un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire . Controllo affinché le mie aspettative si possano realizzare, non si realizzano, mi sento frustrata, allora aumento il mio controllo. Un modo per cercare di uscire da questo meccanismo perverso è chiedersi e descrivere dettagliatamente quali sono le nostre pretese, in tutte 3 le aree che abbiamo elencato. Quando capiremo che le nostre aspettative ci tolgono energia e benessere, quando avremo capito che la soluzione è lasciare andare, accogliere ciò che la vita ci può offrire, senza esercitare alcun tipo di controllo, allora saremo veramente liberi di accettare con gioia l’inaspettato. Perché come dice Alejandro Jodorowsky:” Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei”

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Scopri il tuo ikigai

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“Scopri il tuo Ikigai” è stato il titolo del nostro workshop di ArtCoaching. Il tema non è certo nuovo, ma occorre ogni tanto risintonizzarsi su ciò che ci rende realmente felici e ci dà lo stimolo per alzarci tutte le mattine con entusiasmo. L’ikigai (生き甲斐) (iki-vivere, gai-ragione) è l’equivalente giapponese di espressioni italiane quali “ragione di vita”, “ragion d’essere”. L’argomento dell’Ikigai è stato anche l’occasione per riflettere non solo sulle nostre scelte, ma sulle non scelte, una riflessione su quello che talvolta non abbiamo fatto per timore, paura di non essere all’altezza. Qualche volta la nostra non-scelta è stata anche dettata da quelle che, nel corso del workshop, ho definito le “sirene dell’amore”. A volte, prima di metterci ad ascoltare la nostra voce interiore , ci poniamo in ascolto di istanze di coloro che amiamo, dei componenti della nostra famiglia, ad esempio. Quante volte ci è capitato di volerli assecondare per paura di contraddire i sogni degli altri e non i nostri? Il nostro bisogno di essere amati, gratificati passa davanti a tutto e spesso calpesta la nostra passione. Non abbiamo voluto o saputo seguire il nostro Ikigai per paura di non essere compresi e amati.

Mettersi in ascolto

Certo crescendo questo bisogno di avere l’appoggio incondizionato viene meno. Diventiamo adulti e abbiamo gli strumenti per capire che se noi siamo felici, sereni e appagati, lo sono anche coloro che ci vogliono veramente bene. Sempre semplice, ma è un concetto che fatichiamo a fare nostro. Temiamo che la nostra felicità possa passare dall’infelicità dell’altro. Ma è solo un tentativo di autosabotaggio. E’ una credenza limitante. Un alibi per non uscire dalla nostra zona di comfort. E per non responsabilizzarci. Scegliamo di avere un capro espiatorio, qualcuno al quale attribuire la causa della nostra non felicità o realizzazione. E’ la condizione della vittima. Lo spiega bene Selene Calloni Williams nel suo libro “Ikigai- Ciò per cui vale la pena vivere”, scritto in collaborazione con Noburi Okuda Do. Gli autori spiegano che per poter raggiungere la nostra piena realizzazione dobbiamo intraprendere un percorso a tappe che ci porta ad una trasformazione alchemica, che consiste in un percorso di trasformazione interiore che ci porta ad identificarci con la nostra anima e a trovare il nostro ikigai.

Lo stadio della vittima

La prima tappa di questo percorso è uscire dalla gabbia del vittimismo dove riteniamo che tutto “accada a me”. Proviamo a ragionare su tutte le volte in cui ci siamo sentiti vittima nel corso della vita. Analizziamo tutte le volte in cui abbiamo attribuito a circostanze esterne le nostre disavventura. E’ la sindrome di Calimero. Tutto accade a me perché sono piccolo e nero, come recitava la reclame ( siamo negli anni 60-70 anni e si chiamava proprio così) di Carosello, che senz’altro i boomers o gli esponenti della generazione X si ricordano…E’ capitato almeno una volta di tutti.

I condizionamenti

La seconda tappa per poter prendere piena consapevolezza di ciò per cui vale la pena vivere, per essere nel flow, dal momento che è questo il sentimento dell’ikigai, provare il massimo piacere perché si è in linea con la propria passione, consiste nel domandarsi che cosa abbiamo voluto in passato perché in linea con i valori famigliari, sociali. In una parola il condizionamento che ci ha portato a fare scelte che non erano in linea con la nostra anima. Troppo spesso le nostre decisioni sono state dettate da scelte altrui. Lo abbiamo visto. Le sirene dell’amore ci hanno spesso allontanato dal nostro Ikigai. La consapevolezze è il primo passo per prenderne coscienza e fare la scelta adeguata. Bisogna liberarsi dalle manipolazioni, dai ricatti morali e affettivi. Ikigai significa fare esattamente ciò per cui la nostra anima è venuta. James Hillman ce lo insegna nel suo “Codice dell’Anima”.

La nostra missione

E’ questo ciò a cui dobbiamo ambire. Individuare la nostra passione, capire che cosa ci appaga totalmente, che non ci rende mai stanchi e che potremmo fare per ore senza stancarci mai. Provate a a chiedervi quale sia il vostro grande ideale. Non abbiate paura di ammetterlo a voi stessi. Lo possiamo trovare anche in tarda età. Non importa. Ciò che è fondamentale è poterlo capire per poterlo perseguire e mettere in atto.

La paura di non essere all’altezza

Cosa ci impedisce di mettere in pratica, una volta individuato, il nostro ideale? Spesso la paura di non farcela, l’insicurezza di non essere abbastanza. Scriviamo nero su bianco allora quelle che sono le nostre paure, i nostri timori. Prenderne consapevolezza è un modo per poterle affrontare con determinazione. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura” diceva Sun Tzu nell’Arte della Guerra. Guardare il nemico negli occhi significa essere pronti per affrontarlo.

Disegna il tuo ikigai

Superati questi stadi: la vittima, ciò che si perseguiva a causa di condizionamenti esterni, l’individuazione del nostro ideale, il superamento delle paure, si è pronti alla trasformazione: diventare ciò che vogliamo essere. Perché l’ikigai ci consente di essere, non di avere. Esprime la nostra vera natura. Ci allinea al nostro io più profondo. Una volta individuato, così come abbiamo fatto nel nostro bellissimo workshop, esprimiamolo anche visivamente. Realizziamo il simbolo del nostro Ikigai. Diamogli una forma, oltre che una sostanza. Esprimiamo così “l’essenza nella forma”.

Perché la visualizzazione è molto potente. E durante i nostri workshop di ArtCoaching lo sappiamo bene.

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L’empatia per combattere il bullismo

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Recenti ricerche hanno messo in rilievo come l’empatia possa combattere fenomeni di bullismo. Insegnare ad essere persone inclusive, sviluppare sentimenti di accoglienza e accettazione dovrebbe diventare una materia scolastica. E’ un’educazione emotiva e sentimentale, importante da apprendere fin da piccoli.

La Danimarca, conosciuta per essere il paese più felice al mondo, secondo il World Happiness Report dell’Onu, ha inserito l’empatia come materia di studio nelle scuole fin dal 1993.

Si studia in classe dai 6 ai 16 anni. La motivazione risiede proprie nel fatto che l’empatia aiuta a costruire relazioni, prevenire il bullismo, avere successo nella vita e anche nel lavoro. Promuove la crescita di leader, imprenditori e manager. Insomma, l’empatia è un investimento sul futuro. Non dovrebbero dimenticarlo tutti i governanti chiamati a lavorare sul Pnnr, il piano nazionale di resistenza e resilienza.

#bodypositive

Insegnare ad essere persone empatiche fin da piccoli aiuta quindi a prevenire fenomeni di bullismo, che spesso possono spesso sfociare in atteggiamenti di discriminazione e di body shaming, una forma di bullismo che colpisce l’aspetto fisico delle persone. Si tratta letteralmente di giudicare le forme del corpo delle persone, criticandolo soprattutto sul web e sui social. Inutile sottolineare quanto chi è vittima di queste odiose forme di dileggio possa soffrire e vedere minata la propria autostima. E’ un fenomeno che va combattuto fin dalla giovane età e di cui è importante la sensibilizzazione. A questo proposito è nato, tra il 2010 e 2011, il movimento della cosiddetta Body Positive per merito di donne oversize, il più delle volte di colore, che postavano dei contenuti sui social media con l’hashtag #BodyPositivity. L’obiettivo è quello di promuovere un messaggio positivo dedicato a chi ha un corpo che non rientra nei canoni pre-definiti, sensibilizzando ad una consapevolezza e un’accettazione di sé, andando oltre gli stereotipi e ai canoni classici . Presto il movimento si è diffuso a livello globale e ha coinvolto le persone contrarie agli standard di bellezza imposti dai media.

Essere empatici nutre l’inclusione

E’ chiaro quindi come diffondendo una cultura improntata all’accettazione dell’altro, al sapersi mettere nei panni dell’altro, in una parola, sviluppando empatia, fin dalla giovane età, si possa aiutare a prevenire sentimenti di emarginazione. Crescere, di contro, con sentimenti di accettazione, accoglienza nei confronti degli altri può, invece, sviluppare comportamenti improntati alla compassione e inclusione. L‘intelligenza emotiva si può coltivare, lo abbiamo detto più volte. E l’empatia è una delle caratteristiche principali dell’intelligenza emotiva.

Un libro per diffondere cultura

Introdurre l’empatia come materia scolastica può essere un ottimo punto di partenza, perché la cultura ha un potere dirompente. Anche la letteratura può sensibilizzare e diffondere cultura su temi sensibili. E’ quanto abbiamo potuto comprendere e apprezzare con “Venere” e “Afrodite Soggettiva”, le recenti pubblicazioni , edite da Montabone Editore, a cura di Giulia Lazzaron e Alisia Viola, che hanno trattato in maniera creativa, artistica, sensibile e profonda il tema della body positive. A loro abbiamo chiesto come è nata l’idea della pubblicazione e di raccontarci come l’empatia possa aiutare a prevenire fenomeni di bullismo, di cui il body shaming è un’espressione. Le nostre autrici hanno riposto con entusiasmo e grande competenza.

Le interviste

“La necessità di pubblicare i due libri “Venere” e “Afrodite Soggettiva” è nata dal bisogno di parlare -attraverso il linguaggio dell’arte – ad un pubblico più ampio, di una tematica che ancora oggi in Italia è poco conosciuta, la body positivity, movimento che in altre parti del mondo invece è già virale- esordiscono Alisia e Giulia -. Le due pubblicazioni trattano di una bellezza inclusiva e universale, partendo dal mito della Venere, colei che dall’era preistorica incarna questo concetto. Da donne, figure colpite da sempre sull’aspetto fisico, abbiamo voluto – attraverso il concetto di body positive – approfondire l’autentico significato di Bellezza, facendo emergere la sua vera essenza. Entrambi i volumi pongono interrogativi sulla tematica, e alla fine della lettura, si comprende che ogni essere umano ha il pieno diritto di sentirsi una venere contemporanea”.

L’intelligenza emotiva nelle scuole

D. Alisia, tu sei anche un’insegnante: sei d’accordo anche tu dell’importanza dell’insegnamento dell’Intelligenza emotiva e dell’empatia nelle scuole? Se sì  come pensi si possano applicare questi insegnamenti?

R. Credo che lo sviluppo dell’intelligenza emotiva nelle scuole sia estremamente importante. Creare dei percorsi in merito all’intelligenza emotiva all’interno delle istituzioni scolastiche – dalla primaria alla secondaria di secondo grado-, aiuterebbe dai più piccini ai ragazzi più grandi, al raggiungimento di una maggiore consapevolezza di sé e una migliore gestione delle relazioni sociali, componenti fondamentali per ottenere piccoli e grandi traguardi personali nella vita. Sogno una scuola in cui l’educazione sentimentale sia alla base dell’insegnamento, poiché solo stando bene con se stessi e con gli altri si può dare al massimo nel raggiungimento degli obiettivi prefissati; trovo interessante proporre alle scuole di ogni ordine scolastico, percorsi sull’intelligenza emotiva, in quanto l’emotività è alla base delle giornate degli studenti.

D.I professori sono a parer tuo formati su questi temi?  Potrebbe essere interessante realizzare dei seminari ad hoc?

R. Trovo sia un aspetto carente nelle scuole e che andrebbe assolutamente rinforzato, educando in primis i docenti, i quali a loro volta avranno le adeguate competenze per proporre e creare un percorso ad hoc con i propri studenti. Credo che in questo modo si intensifichi anche il rapporto docente-studente, che spesso, ancora oggi, pare distaccato.

D.E nei confronti degli studenti si potrebbero realizzare dei momenti di dibattito? Oppure suggerisci altre modalità?

R. Si potrebbero realizzare dei momenti in cui si mettono in discussione, creare un dibattito è il punto da cui si potrebbe partire. Con i miei studenti ho spesso proposto dei laboratori maieutici, creando dei lavori di gruppo che hanno l’obiettivo di valorizzare al massimo le capacità individuali, in quanto li si mette di fronte a problemi e a punti interrogativi da risolvere, e una volta risolti sono argomenti che rimangono impressi nella loro mente, educandoli al contempo ad un approccio differente allo studio.

Il valore dell’empatia

D.E’ difficile parlare di autostima nei ragazzi soprattutto gli adolescenti che sono in evoluzione e in fase di crescita, ma l’empatia può correre in soccorso?

R. Assolutamente sì! L’empatia è un valore meraviglioso, che permette di vivere le propria vita con serenità e consapevolezza. Sfortunatamente è sempre meno presente negli studenti di oggi, ma ho notato attraverso la mia breve esperienza come docente, che applicandola nei loro confronti, loro si aprono, raccontano, aumenta la loro voglia di studiare e mettersi in gioco. L’empatia è alla base dell’apprendimento, solo una volta instaurato un rapporto basato sull’empatia, lo studente darà tutto se stesso nell’apprendimento; si crea un dialogo autentico tra insegnante e studente, un legame di cui farà sempre tesoro.

A Giulia abbiamo rivolto altre domande e lei ci ha parlato del libro realizzato insieme ad Alisia e di body shaming.

D. Uno dei temi portanti del vostro libro è il body shaming: come pensi che l’insegnamento dei temi dell’intelligenza emotiva possa aiutare a prevenire questi fenomeni?

R. Penso che l’intelligenza emotiva dovrebbe essere alla base di ogni relazione, di qualsiasi tipo e in qualsiasi ambito. Sicuramente, l’intelligenza emotiva permetterebbe una comunicazione più attenta alla realtà dell’altro, evitando battute e commenti fuori luogo, evitando discussioni e rabbia. Penso che l’intelligenza emotiva sia strettamente correlata anche all’amore incondizionato e quindi al benessere reale. 

D. Essere persone empatiche può evitare di porre in essere azioni di body shaming?

R. Solitamente episodi come body shaming e altro tipo di discriminazioni non provengono da persone empatiche, proprio perché l’empatia è la capacità di “mettersi nei panni degli altri”. È sicuramente una qualità che molte persone dicono di possedere da sempre, quindi innata. In realtà credo che appartenga a tutti, e che si possa sviluppare, anche per avere maggiore pienezza e benessere nella vita di tutti i giorni.  Quindi certamente, essere persone empatiche eviterebbe sicuramente episodi di discriminazione e body shaming

D. C’è qualche episodio che vuoi raccontare che ti ha suggerito la realizzazione del libro o che sia esplicativo del fenomeno del body shaming?

R. Personalmente, ho subito alcuni episodi di body shaming. Ho sempre avuto un peso oscillante nella vita, ci sono stati periodi in cui ero magra, altri in cui ero un po’ più robusta, in altri momenti sono stata più sportiva. L’episodio che più mi ha fatta soffrire è stato quando di fronte a una decina di persone, una persona mi ha presa in giro perché “non sembrava che andassi in palestra” (in quel periodo andavo ad allenarmi due/tre volte alla settimana). Sono tornata a casa con le lacrime agli occhi, demoralizzata. Stavo già pensando di non andarci più in palestra, mi stava passando la voglia di fare una cosa che in realtà mi piaceva tanto e mi faceva sentire in forma. Al posto di demoralizzarmi del tutto, mi sono detta che questo incubo di non sentirmi bene con me stessa doveva finire definitivamente. Ho cominciato a cercare su Instagram ragazze, modelle, influencer che avessero il mio fisico “curvy”, e sbirciare un po’ per capire come facessero ad avere tutta questa autostima! E ho trovato tutto il mondo della body positivity, Laura Brioschi che da anni combatte contro il body shaming, Carmen Mastrangelo che lotta contro le discriminazioni dei corpi grassi, e tantissime influencer con il fisico simile al mio che non hanno paura a mostrarsi, anzi, lo fanno anche per autoaffermarsi in un mondo in cui essere diversi può essere una reale difficoltà sociale. Da qui è nato tutto, sono nate le opere, le Veneri con diversi tipi di corpo, è nato il libro Venere dall’incontro con Editore Montabone, ed è nato anche un secondo libro di saggistica, Afrodite Soggettiva, di cui consiglio la lettura per chi volesse approfondire la storia della body positivity e altre nozioni a riguardo. La parte più bella di scoprire questo movimento è stata il non sentirmi più sola nelle mie lotte quotidiane, il non sentirmi più sbagliata, e informarmi a riguardo mi ha aperto gli occhi su tematiche quali per esempio, la grassofobia: la paura del corpo grasso, il terrore di ingrassare che spesso ci impedisce di vivere una vita tranquilla e serena con noi stessi. Non si promuovono stili di vita insani, anzi, si promuove uno stile di vita senza ossessioni. Per maggiori informazioni, rimando alle due pubblicazioni “Venere” e “Afrodite Soggettiva”, in cui potrete davvero scoprire un nuovo mondo, fatto di accettazione e bellezza (reale, non stereotipata). 

Vivi e lascia vivere

D. Il movimento “body positive “ può essere un esempio concreto di comportamento “empatico”?

R. Certo, la body positivity è soprattutto empatia verso il prossimo! Già che ci sono mi piacerebbe spiegare un po’ di cosa si tratta nello specifico. Il movimento body positive nasce inizialmente per contrastare il body shaming fatto sui corpi grassi e neri. Quindi le primissime attiviste sono state donne di colore, che venivano discriminate in modo sistemico per il colore della loro pelle e per il loro corpo in generale. È quindi un movimento strettamente correlato anche al razzismo e si è esteso poi ad ogni tipo di corpo, con un’attenzione particolare al mondo LGBTQ+, quindi è davvero trasversale. È rivolto a tutti, a chiunque si sia sentito almeno una volta discriminato per il proprio aspetto o per la propria personalità. Il motto della body positivity è “vivi e lascia vivere”, una frase talmente semplice, da sembrare quasi impossibile da realizzare.

Per concludere, penso che ci vorrebbe più amore nel mondo, che ci permetterebbe di accettare gli altri e amarli e rispettarli per ciò che sono, in quanto l’altra persona, e ciò che vediamo nell’altro, siamo noi stessi! “

Grazie a Giulia e Alisia per gli ottimi spunti e complimenti per il vostro libro. L’intelligenza emotiva e l’empatia sono le risorse per affrontare il ventunesimo secolo. Abbiamo davvero bisogno di persone che si mettano nei panni degli altri. E di persone che sappiano ascoltare, accettare e includere. Se iniziamo a farlo da piccoli avremo adulti consapevoli, empatici e dotati di grande intelligenza emotiva.

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Fai della tua vita un capolavoro : il nostro progetto di ArtCoaching

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L’idea di lanciare il progetto di ArtCoaching “Fai della tua vita un capolavoro” ci è venuta qualche anno fa, quando abbiamo pensato di unire le nostre competenze , le nostre passioni , le nostre attività. E’ un format che coniuga la metodologia del Coaching, il percorso di sviluppo delle capacità, risorse, talenti, competenze personali per il raggiungimento di uno specifico obiettivo personale, professionale e l’arte terapia, un insieme di tecniche che utilizzano le arti visive – ma anche la musica, il teatro e la danza- per sostenere il benessere dell’individuo nell’ambito della sfera emotiva, affettiva e relazionale.

Un viaggio di scoperta ed espressione

Il progetto nasce dalla mia collaborazione con Saba Najafi e Maryam Aeenmher, Artiste e Art Therapist di origine persiana da diversi anni in Italia. Insieme abbiamo studiato e realizzato il nostro progetto di ArtCoaching. Lo abbiamo chiamato ” Fai della tua vita un capolavoro” perché esprime bene l’obiettivo che si prefigge: lavorare sulla crescita personale utilizzando l’arte terapia. Il punto da cui siamo partite è che il Coaching e l’Arte consentono di poter realizzare un viaggio di introspezione. Il Coaching lavora sugli aspetti cognitivi e sulla consapevolezza, l’arte permette di poter esprimere emozioni, sentimenti. Entrambi mettono in connessione con il proprio io. Se il Coaching permette di poter andare ad esplorare risorse o capacità sopite, l’arte terapia consente di poterle esprimere. L’ArtCoaching è un viaggio di esplorazione e di espressione.

Sciogliere i blocchi emotivi

Sfatiamo subito un pregiudizio. Non è necessario essere artisti o avere particolari doti artistiche per poter partecipare ad un progetto di ArtCoaching: occorre avere la volontà e la curiosità di intraprendere un percorso di crescita personale. Un viaggio alla scoperta di sé stessi attraverso la metodologia del Coaching con le powerful question, che ci permettono di poter andare a conoscere e superare le nostre convinzione limitanti, che spesso costituiscono un ostacolo alla nostra realizzazione. Una volta presa coscienza di ciò che impedisce la nostra evoluzione grazie alla metodologia del Coaching, attraverso le attività artistiche possiamo esprimerci e connetterci con la nostra essenza più intima. Spesso le attività di ArtCoaching riescono a sciogliere dei blocchi emotivi. Attraverso il linguaggio non verbale delle visualizzazioni possiamo andare a esprimere sentimenti o sensazioni che verbalmente non riusciamo e a comunicare. Veniamo così a scoprire che la creatività può diventare un ottimo strumento di apprendimento, di comunicazione e di condivisione. Di condivisione perché le attività di ArtCoaching sono attività che vengono realizzate in gruppo.

I destinatari

I nostri progetti di ArtCoaching si rivolgono a gruppi di privati e a team aziendali. Nel primo caso si partecipa a Workshop tematici con un filo conduttore che lega momento “in aula” con la Coach e i laboratori creativi con le Art Therapist ,in cui si realizzano attività creative che rappresentano un continuum con ciò che è stato il tema dell’incontro. Prima di ogni workshop, un brain storming tra noi 3 porta all’individuazione degli esercizi di Coaching e delle successive attività creative. In sostanza il workshop si struttura in 2 diversi momenti: uno step “cognitivo” e uno “emotivo”. L’armonizzazione dei due momenti è frutto di uno studio, un’ideazione, ma soprattutto di una grande sintonia tra noi 3.

I team coaching con l’arte

Le attività di ArtCoaching rappresentano anche delle ottime attività di team per le Aziende. In questo periodo più che mai, dopo che, finalmente, si sta tornando a incontrarsi e organizzare meeting, convention dal vivo, un’attività di team building, con la presenza di un Coach, può amplificare i benefici effetti che queste attività già riescono a generare. Il coinvolgimento di un Coach può aiutare a raggiungere obiettivi che le aziende si prefiggono di realizzare nella motivazione e soprattutto nella costruzione del team, dopo mesi di smart working.

E’ un’occasione importante per trasmettere concetti e messaggi fondamentali: ricostruire lo spirito di gruppo, ristabilire la fiducia, lavorare in team, sviluppare l’ascolto, accrescere l’empatia dopo mesi passati a vedersi e sentirsi solo su zoom o sulle altre piattaforme. E’ arrivato però il momento della presenza, del contatto visivo non filtrato da uno schermo.

Team building con contenuto

Per questa ragione i team building tradizionali devono trasformarsi in occasioni per comunicare messaggi e contenuti. Team building che richiedono la presenza di un facilitatore, di un Coach in grado di  valorizzare il momento di incontro finalmente reale e non digitale. Solo così si potranno realizzare non solo team building, ma veri e propri team coaching , che possono lavorare su obiettivi di team. Il destinatario del team coaching è il team, come se fosse un’entità unica. Non esistono individualità. Il team si nutre di competenze diverse, unite verso un obiettivo comune. In questo modo la perfomance del team è superiore alla performance dei singoli. In modo che 1+1 sia uguale a 3. Le attività di ArtCoching aiutano a stimolare, sviluppare la creatività, ingrediente sempre più prezioso per facilitare i processi di problem solving e lo spirito di adattamento, decisamente fondamentale di questi tempi.
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Emozioni negative: come gestirle

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Durante il nostro recente webinar abbiamo visto che una delle caratteristiche dell’intelligenza emotiva è la capacità di saper riconoscere e gestire le proprie emozioni. E’ quella abilità che va sotto la classificazione di “autocontrollo”.

Se saper riconoscere le emozioni positive non richiede anche l’abilità di saperle gestire, diventa invece utile capire come riconoscere e soprattutto disinnescare le emozioni negative. Secondo la ruota di Plutchick, le emozioni negative sono essenzialmente : la rabbia, la paura, la tristezza e il disgusto. E’ l’amigdala, la cosiddetta centralina delle emozioni, posizionata all’interno del nostro cervello ad attribuire significato emotivo a informazioni di stimoli provenienti dal mondo esterno, dall’interno del corpo e dal cervello, come pensieri e ricordi.

I bisogni non soddisfatti

Le emozioni negative solitamente scattano nel momento in cui i nostri bisogni non vengono soddisfatti. Alcuni autori ritengono che i bisogni seguano un modello di crescita che si articola per fasi successive, dove ogni fase precedente deve essere soddisfatta per passare alle motivazioni- bisogno di ordine superiore. Si ipotizza l’esistenza di 5 classi di bisogni:

  • bisogni fisiologici: sono i primi bisogni che si manifestano alla nascita e in ogni giorno della vita dell’individuo (per esempio il bisogno di cibo, di acqua, di dormire)
  • bisogni di sicurezza: sono i bisogni legati alla ricerca di protezione, sicurezza e vicinanza ; si possono manifestare solo dopo che i primi siano stati appagati
  • bisogni di amore e di appartenenza: sono i bisogni che rappresentano il desiderio di dare e ricevere amore, di sentirsi parte di un gruppo e cooperare con i suoi membri
  • bisogni di rendimento e riconoscimento: corrispondono all’esigenza di sentirsi competenti e produttivi e di veder riconosciuti i propri meriti e le proprie capacità
  • bisogno di realizzazione del sé: è la fase più elevata dello sviluppo nella quale gli individui possono vedere il più alto punto di crescita e la miglior applicazione delle loro capacità potenziali.

È possibile inoltre aggiungere un sesto livello, il bisogno di trascendenza, che consiste nel cercare di superare i propri limiti, andando oltre se stessi per sentirsi parte di un ordine più elevato spiritualmente.

Creare un piano per gestire le emozioni negative

Fino a qui la motivazione che porta al palesarsi delle emozioni.
Ma come diventarne consapevoli e poi disinnescarle? Spesso adottiamo degli schemi emotivi e comportamentali che si ripetono. Pensare ad un piano che risponda, invece, in maniera consapevole e nuova prima che si manifestino, significa poter rispondere in modo diverso alle emozioni stesse. Pronti a creare questo piano? Prendiamo il nostro solito blocco e penna o, per i più digitali, creiamo un un documento sul pc. Come ben sapete scriverlo lo renderà più reale e tangibile. Pronti? Via!

Per prima cosa identificate l’emozione negativa alla quale volete cambiare la risposta : rabbia, tristezza, paura, ansia. Scrivete quindi la vostra risposta e la reazione tipica quando sentite l’emozione palesarsi : ad esempio per la rabbia ” urlo o rispondo male a qualcuno”, per la tristezza: “sto a casa e guardo la Tv”.

Ora pensate ad una risposta alternativa a quell’emozione: scrivetela. Un esempio: per la rabbia : mi eserciterò a rimanere in silenzio, non risponderò o lo farò in maniera educata. Per la tristezza: farò qualcosa di creativo, come fare un disegno, scrivere su un diario.

Avete la possibilità di trovare tante e diverse risposte alternative. Non vanno scolpite nella piena. L’importante è comprendere il meccanismo e la strategia.

Le reazioni del corpo

Abbiamo detto più volte che il nostro corpo è la sentinella che avvista per prima l’arrivo della nuova emozione. Mettiamoci in ascolto: quando proviamo rabbia, stringiamo la mandibola, la frequenza cardiaca accelera. Quanto più velocemente siamo in grado di cogliere l’arrivo dell’emozione, tanto più riusciremo a individuare la nuova risposta. Più l’emozione si prolunga, meno facilmente si potrà disinnescare. Essere presenti è fondamentale. Esercitatevi mentalmente a utilizzare questo meccanismo. Chiudete gli occhi e immaginatevi di provare l’emozione negativa dalla quale volete liberarvi e mettete però in atto il nuovo piano che avete predisposto per reagire. Fatelo più volte: in questo modo prenderete dimestichezza fino a farlo diventare un processo automatico. L’importante è essere pronti a cogliere con anticipo l’emozione negativa prima che si manifesti. Mettiamo in atto l’autocontrollo, la nostra intelligenza emotiva ne gioverà.

Il nuovo schema emotivo

I nostri schemi emotivi, come visto, si ripetono e seguono un ciclo prevedibile di abitudini, come accade per i comportamenti. Se ne siamo consapevoli, possiamo rompere questo meccanismo: “segnale – routine- ricompensa” . Saper riconoscere i segnali emotivi, cambiando la routine, ci consente di cambiare le nostre azioni e i conseguenti risultati. Così facendo possiamo dare vita al nostro piano solo con una semplice domanda: ” Se… allora…”. Un semplice concetto di causa-effetto.

“Se comincio a sentirmi arrabbiata, allora…farò una passeggiata”

“Se comincio a provare un sentimento di tristezza, allora chiamerò qualcun con cui parlare”

Provate a rispondere voi adesso : “Se…allora?”

Ovviamente il piano deve tener conto delle nostre inclinazioni, dei nostri gusti. Ognuno di noi ha delle predisposizioni e modalità con le quali potersi sentire bene. L’importante è come sempre essere consapevoli. E soprattutto conoscerci…Mettiamoci in ascolto di noi stessi. In questo modo potremo prendere in mano la nostra vita e non essere gestiti dalle emozioni, soprattutto se sono negative!

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Comprendere le differenze

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“Comprendere le differenze”” è stato il titolo dell’ultimo workshop di Art Coaching che abbiamo organizzato. Il tema che è stato affrontato aveva come oggetto la presa di coscienza che ognuno di noi è diverso l’uno dall’altro. Ciascuno di noi ha un proprio vissuto, una propria storia e conseguentemente un modo diverso di relazionarsi con gli altri. E’ un’ovvietà, direi lapalissiano, eppure siamo così convinti di esserne consapevoli e soprattutto accettarlo?

Superare i conflitti

Prendere coscienza del fatto che non siamo tutti uguali, che esistono notevoli differenze gli uni dagli altri è la ragione principale dell’insorgere dei conflitti. Avere opinioni, punti di vista diversi scatena sentimenti negativi, che spesso minano i rapporti fra le persone. Tutti vorremmo vivere d’amore e d’accordo. Peace & love. Ma ai nostri patti. La ragione è sempre dalla nostra parte, non di quella degli altri. E’ la proiezione dell’ego. Noi siamo nella ragione e gli altri nel torto. Per poter superare i conflitti bisogna sapere vedere la situazione da prospettive differenti. Come se uscissimo dalla nostra mente e dal nostro corpo e osservassimo la situazione da un altro punto di vista. Cosa vediamo? Che emozioni proviamo? Ragionare in terza persona ci aiuta ad esaminare le circostanze in maniera oggettiva, senza essere condizionati dal nostro stato d’animo dalle nostre emozioni. Provate a ragionare e ad agire in questo modo la prossima volta che si verifica una situazione potenzialmente conflittuale.

Capire i bisogni

Se abbiamo deciso di intraprendere un percorro volto a comprendere ed accettare le differenze, dovremo anche chiederci quali sono i bisogni delle persone che ci circondano. Ognuno di noi è mosso da motivazioni diverse. Ognuno agisce spinto da bisogni emozionali diversi: sentirsi al centro dell’attenzione, amato, considerato, avere certezze, con credenze differenti che nascono dall’ambiente, dalle esperienze di vita. Una buona base può essere ripassare i bisogni della piramide di Maslow, sempre utile. C’è però un superamento della teoria del nostro bravo psicologo stra citato nei progetti di motivazione e incentivazione che realizzavo nella mia vita passata. E’ la teoria delle Dinamiche a Spirale proposta dallo psicologo Clare Graves e che il bravo collega Coach Claudio Belotti ci ha fatto conoscere in Italia. La teoria è molto complessa e occorrerebbe giorni di studio. Può però essere illuminante la lettura del libro “Capire e prevedere i comportamenti degli altri con le dinamiche a spirale” di Christopher Cowan, Natasha Todorovic, Claudio Belotti.

Gli 8 livelli

In estrema sintesi, la teoria delle Dinamiche a Spirale ci dice che ogni persona, a seconda del proprio stato di evoluzione psicologica ed evolutiva, transita in uno dei livelli della spirale – sono 8-e ad ogni livello corrispondono motivazioni, esigenze, credenze che motivano azioni e scelte differenti. Comprendere il livello nel quale il nostro partner, il nostro capo, collega, amico appartiene ci aiuta a comprendere le ragioni per le quali si comporta in un determinato modo. E’ possibile così anche prevedere ciò che farà, come penserà evitando l’insorgere di conflitti, risentimenti e incomprensioni. Comprendere se siamo ad un livello verde piuttosto che rosso – Graves ha distinto in 8 colori differenti i diversi livelli- ci aiuta a comprendere meglio le differenze, ci permette di instaurare relazioni improntate alle comprensione, oltre che più proficue ed empatiche.

L’empatia è la risposta

Sì perché ancora una volta può correre in soccorso la nostra intelligenza emotiva, la capacità di entrare in contatto con le persone, sapendo sviluppare sentimenti di empatia e compassione. Senza dimenticare l’ascolto: l’arma più potente per comprendere le differenze. Sembra però che sia lo strumento più difficile da attivare…Proviamo ad esercitarci ad ascoltare gli altri e anche noi stessi…

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Perché è importante essere persone empatiche

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Provate a rispondere a queste 3 semplici domande:

  1. Mi soffermo a comprendere i miei sentimenti e quelli degli altri?
  2. Quando prendo decisioni, soppeso i punti di vista degli altri?
  3. Presto piena attenzione quando qualcuno mi parla?

Bene, se avete risposto positivamente a queste 3 domande siete delle persone empatiche. Il che è un bella cosa, specie in questi tempi, nei quali come viene più spesso ripetuto “Nessuno si salva da solo”. Mai come in questo ultimo anno il valore della collettività è stato esaltato e ha manifestato tutta la sua importanza. Siamo tutti parte di un insieme.

L’importanza della connessione

Questa mattina ho imparato, grazie alla mia amica Sandra, una nuova parola : Ubuntu, un termine africano che significa “Io sono perché noi siamo” . E’ quello che si è sentito dire un antropologo, che ha fatto fare un gioco a dei bambini di una tribù africana: dopo aver posizionato un cesto di frutta sotto un albero, aveva invitato i ragazzini a correre verso l’albero. Chi fosse arrivato prima, si sarebbe aggiudicato il gustoso premio. Ebbene, con sua grande sorpresa, i bambini non si sono scatenati in una corsa individuale, ma si sono presi tutti per mano, hanno camminato verso l’albero. Allo stupore dell’antropologo, i bambini hanno appunto risposto. “Ubuntu”. Il gioco non aveva scatenato la competizione, bensì il senso collettivo di camminare insieme per raggiungere uniti il risultato. Una bella favola moderna, anche se fortunatamente era reale. I ragazzi hanno dimostrato di essere persone empatiche. Tutti connessi.

I 3 gradi di empatia

Possiamo essere empatici con gradi diversi di intensità. Lo sapevate?

  • Empatia cognitiva
  • empatia emozionale
  • empatia compassionevole

Non è detto che tutti abbiamo lo stesso modo di saperci mettere in connessione con gli altri. Possiamo essere empatici perché cogliamo l’importanza degli altri, oppure possiamo esserlo mettendoci con più sentimento in ascolto degli altri. Infine, il massimo grado è mettersi nei panni degli altri, comportandoci in maniera piena, consapevole, attivando gesti di aiuto e collaborazione. Insomma essere “ubuntu”.

Coltivare l’empatia

Se empatici si nasce, possiamo però anche cercare di sviluppare atteggiamenti che ci portino ad essere più connessi con gli altri. Connessi in maniera compassionevole, appunto. Essere empatici non è solo mettersi nei panni degli altri, generando senso di gioia da parte dell’oggetto dell’empatia. Fa bene anche a noi che la pratichiamo: in primis genera apertura e fiducia nei nostri confronti. Consente di sviluppare relazioni solide e profonde fra le persone. Avere buone relazioni è una delle chiavi per vivere in maniera serena e appagata. Essere circondati da sentimenti di amore, attenzione, fiducia è profondamente gratificante, siete d’accordo? Essere empatici, aiutare gli altri ci aiuta anche a superare stati emotivi negativi, perché spostiamo il focus da noi stessi a qualcun altro. Significa togliere potere all’emozione negativa. Fare bene, fa bene, lo abbiamo ripetuto più volte.

Qualche consiglio utile

Come accrescere l’empatia e la connessione? Qui sotto trovate qualche consiglio utile.

  1. Sviluppa interesse nei confronti di qualcun che non conosci
  2. Chiedi un feedback sulle tue azioni e comportamenti
  3. Diventa un osservatore di persone
  4. Identifica e supporta una causa benefica
  5. Esprimi il tuo apprezzamento e gratitudine

La gestione dei conflitti

Essere persone empatiche aiuta anche a superare e gestire i conflitti. Vedere le circostanze da una prospettiva differente, non necessariamente la nostra, ci aiuta a vedere la situazione in maniera oggettiva, ancora senza il filtro dell’emozione. Provate a pensare ad una situazione nella quale voi e un’altra persona avete avuto dei dissapori. Esaminare la situazione dal solo proprio punto di vista non consente di vedere che ci possono essere altre soluzioni. Diventate osservatori esterni e esaminate le posizioni dei 2 contendenti. Sicuramente vi farà intravedere soluzioni inaspettate. Non è detto che la posizione del vostro interlocutore non sia quella più ragionevole.

Un webinar sull’Intelligenza Emotiva

L’empatia è una delle caratteristiche dell’Intelligenza Emotiva. Su questo argomento la prossima settimana, riparte un nuovo webinar che all’empatia dedicherà una sessione specifica.

Essere persone empatiche ci preserva da comportamenti egoistici, ci mette in connessione con gli altri e ci fa sentire persone persone di valore. Accresce e aumenta la nostra autostima. E ci fa sentire tutti Ubuntu…Che è un bel sentire…

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Il ciclo emotivo del cambiamento

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Negli auguri che ci stiamo scambiando in questi giorni ricorrono parole chiave: rinascita, rinnovamento. C’è un forte desiderio da parte di tutti di cambiamento. Della situazione che ormai stiamo vivendo da oltre un anno e che sembra sempre immobile, con poca luce in fondo al tunnel. Cambiamento della nostra routine, che sta diventando sempre più stretta tra smartworking, dad, relazioni sociali azzerate. In attesa che qualcosa cambi, cambiamenti che purtroppo non possono essere originati solo da noi ( a parte i nostri comportamenti di osservanza delle regole di distanziamento, non assembramento ecc ecc) proviamo a ragionare su quello che possiamo modificare noi stessi.

Il cambiamento nasce da noi stessi

Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo partire da noi stessi. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Tante, tantissime, ma è una verità inconfutabile. L‘unico controllo che possiamo esercitare è quello su noi stessi, lo abbiamo già scritto, perché come dice Tom Peters ” il cambiamento è una porta che si apre solo dall’interno”, metafora perfetta. Quindi analizziamo quello che sta stretto nella nostra vita, cosa non siamo più in grado di sopportare e mettiamoci all’opera. Ma prima ascoltiamo qualche consiglio utile per imparare a gestire al meglio il nostro cambiamento, prendendo in considerazione quelli che sono gli stadi emotivi che tutti siamo chiamati ad affrontare. Una volta compreso quello che ci aspetta, saremo in grado di affrontare il cambiamento con spirito costruttivo e positivo.

Le 5 fasi

I consigli ci vengono da Don Kelley e Daryl Conner, due ricercatori americani che notarono che molti degli individui che avevano affrontato un cambiamento volontario, si erano ritrovati ad attraversare 5 fasi, e in ognuna di queste fasi avevano vissuto un preciso stato emotivo. Svilupparono così l’Emotional Cycle of Change (ciclo emotivo del cambiamento) e lo pubblicarono nell’ “Annual Handbook for Group Facilitators” del 1979. Il modello delinea le cinque fasi emotive che la maggior parte delle persone attraversa durante il cambiamento volontario.

La fase 1: ottimismo ingiustificato

Chi non ha mai provato un grande stato di eccitazione quando è in procinto di affrontare un nuovo progetto? Siamo pieni di entusiasmo , l’adrenalina è a mille e e la nostra motivazione è ai massimi livelli. Siamo pervasi da uno stato di invincibilità – poco razionale e del tutto ingiustificata. In questa sindrome da superman e superwoman occorre seguire due consigli pratici. Il primo è quello di stilare e mettere per iscritto ( il potere della visualizzazione ci può venire in soccorso) quelli che sono i benefici che ci aspettiamo da questo cambiamento. Lavoriamo con la nostra energia cognitiva e pensiamo in maniera razionale e non emotiva. Il secondo consiglio è quello di mettere un po’ il freno a questo nostro impeto di voler raggiungere subito il risultato. Pensiamo a quando dobbiamo fare una corsa : mantenere sin dall’inizio la giusta andatura ci permette di non disperdere da subito tutta l’energia, ma conservarla e dosarla in maniera equilibrata. Insomma, abbondiamo la modalità “voglio tutto e subito”, non paga. Dosiamo le nostre forze e ricordiamoci che chi va piano…va sano e va lontano.

La fase 2: pessimismo giustificato

E’ il momento dello scoramento. Siamo partiti pieni di belle speranze, ma l’entusiasmo, quella forza propulsiva che ci aveva sostenuto nella prima fase, inizia a calare. Le difficoltà che troviamo lungo il nostro cammino aumentano la nostra frustrazione e l’assenza di risultati tangibili intacca la nostra motivazione. E ‘ qui che affiorano le domande” Perché ho iniziato questo percorso?” ” Che senso ha continuare?” e la nostra vocina interiore ci dice anche “Ma sì, anche se rimando a domani, cambia qualcosa?” ” Che senso ha continuare, tanto non ce la farò”. Ben arrivati nella Valle della disperazione. E’ questo lo scoglio sul quale tutti i nostri buoni propositi si infrangono…E’ questo il momento in cui il 90% dei tentativi di cambiamento si annullano. L’entusiasmo della prima fase è svanito. E’ questo il momento in cui dobbiamo far ricorso a tutta la nostra forza di volontà per poter proseguire nel nostro cammino.

Fase 3 : realismo incoraggiante

Coloro che riescono a superare la fase del pessimismo giustificato, iniziano a vedere il cambiamento in maniera più oggettiva. Diventano più consapevoli degli ostacoli che dovranno affrontare ed iniziano ad elaborare le strategie che permetteranno loro di superarli con successo. Una modalità può essere quella di darsi una data di scadenza e valutare i progressi raggiunti. Rafforza la nostra motivazione e ne beneficia la nostra autostima. Ci focalizziamo su cosa ha funzionato e possiamo costruire una strategia per poter proseguire, facendo tesoro dei nostri risultati, seppur parziali. E’ la fase più importante di tutto il percorso, perché ci dà l’energia per poter proseguire lungo la nostra via del cambiamento.

Fase 4: ottimismo giustificato

Rimaniamo focalizzati sulle singole azioni per un periodo sufficientemente lungo – solitamente 90 giorni- ed entriamo nella quarta fase del ciclo emotivo del cambiamento. Non siamo ancora arrivati alla meta, ma siamo vicini. E’ in questa fase che possiamo consolidare la nostra posizione mettendo in atto un’azione importante: aiutare gli altri. Noi siamo riusciti a superare tutte le fasi complesse, abbiamo scavallato la valle della disperazione e conosciamo bene gli stati emotivi e gli ostacoli che abbiamo superato. Condividerli con gli altri è un modo per essere noi stessi testimoni del fatto che ottenere un cambiamento è possibile. Diventiamo una guida, un mentore. E sappiamo quanto fa bene fare del bene.

Fase 5 : conclusione

E’ fatta, siamo arrivati al termine del nostro cammino verso il cambiamento e possiamo celebrarci. Siamo stati davvero bravi, non era scontato, per cui non sottovalutiamo il nostro successo. Celebriamoci e premiamoci. Mandiamo messaggi positivi al nostro cervello perché possiamo diventare consapevoli dei nostri successi. L’autostima ne trarrà grandi vantaggi. Dobbiamo essere fieri di noi. Come vi sentite? Avete cambiato la vostra opinione si di voi? E’ cambiamento anche questo… Siamo pronti per una nuova rinascita. A proposito, buona Pasqua di luce e rinascita a tutti!

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Le 10 chiavi della felicità

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Oggi, 20 Marzo, è la Giornata Mondiale della Felicità.

Propongo una classifica delle 10 chiavi della felicità. Sono frutto di una riflessione personale, unita suggerimenti da parte di Action for Happiness, organizzazione che conta oltre 115 mila persone in 174 paesi.

Conosci te stesso

Conosci te stesso – γνῶϑι σεαυτόν è scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, luogo da cui emana ancora oggi tanta energia. E conoscere se stessi è la base per poter vivere una vita serena, autentica, consapevole.

Gratitudine

Provare gratitudine- Il tema della gratitudine è un tema al quale faccio ricorso sempre, perché mi è molto caro. Significa essere consapevoli di tutto ciò che si ha, di ciò che la vita ci regala ogni giorno. Un atteggiamento grato si accompagna ad un atteggiamento volto a vedere quello che abbiamo senza soffermarsi sulle mancanze

Avere buone relazioni

Coltivare le buone amicizie, buoni rapporti con i famigliari improntando sempre tutte le relazioni alla comprensione, all’accoglienza, all’inclusione, all’aiuto verso chi ha bisogno, alla presenza. Avere buone relazioni è anche indice di Intelligenza Emotiva.

Avere un obiettivo

Quanta soddisfazione proviamo quando raggiungiamo i nostri traguardi? Quando, dopo aver messo a fuoco ciò che vogliamo raggiungere, esaminiamo le risorse a nostra disposizione, realizziamo il nostro piano d’azione e siamo in grado, infine, di raggiungere i nostro obiettivi non ci sentiamo felici? Da Coach provo una grande soddisfazione quando vedo i miei Coachee felici e soddisfatti per aver ottenuto la gratificazione di veder concretizzato ciò che desideravano da tempo. Qui la felicità è doppia: mia e dei miei Coachee.

Imparare cose nuove

Non si finisce mai di imparare e l’apprendimento è uno stimolo continuo ad evolversi, crescere, cercare sempre più risposte, che producono nuove domande. E’ la gioia della conoscenza, una fonte che non esaurisce mai.

Essere gentili

Alla gentilezza abbiamo dedicato numerosi articoli. Essere gentili fa bene. Si produce più ossitocina, uno degli ormoni del benessere. L’Università della British Columbia ha condotto uno studio su un gruppo di persone ansiose. Dopo che queste hanno compiuto atti di gentilezza per un mese, gli stati d’animo d’ansia sono diminuiti e sono aumentati gli stati d’animo positivi.

Accettarsi

Accettare se stessi per come si è, rispettarsi, amarsi è un altro importante elemento per poter vivere una vita felice. Stare bene con sé stessi significa anche avere relazioni soddisfacenti con gli altri. Non dimentichiamolo. Se non siamo noi i primi a volerci bene, come possiamo pretendere che lo facciano anche gli altri?

Avere un atteggiamento positivo

Cerchiamo di vedere il mondo con occhi positivi, esaltando ancora una volta quello che di bello esiste nella nostra vita. Un atteggiamento positivo è anche un atteggiamento di grande resilienza, che ci aiuta a risollevarci velocemente dalle situazioni difficili.

Avere tempo libero

Il tempo è una risorsa sempre più preziosa. Aver tempo per sé stessi, per dedicarsi alle proprie passioni. Tempo da dedicare alle persone care. Fermarsi a riflettere, dedicarsi all’ozio creativo, come dice il sociologo De Masi.

Dare un significato alla nostra vita

Avere uno scopo, un fine verso il quale dirigersi. Capire qual è il nostro posto del mondo. Non si tratta di avere un obiettivo. E’ più profondo. E’ il senso della vita . Questa è la felicità. ” Perché lo scopo della nostra vita è essere felici” come dice Sua Santità il Dalai Lama
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L’intelligenza emotiva: come svilupparla

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Sono sempre stata una persona emotiva. Me lo ripetevano i professori a scuola, me lo disse anche il relatore alla mia tesi. Quello che mi ha sempre salvato è stata una forte dose di positività , che mi ha permesso comunque di gettarmi a capofitto nelle nuove avventure, nell’intraprendere nuove strade. Poi crescendo, la maturità mi ha permesso di sapere controllare meglio le emozioni e con la mia attività di saperle non solo riconoscere in me stessa, ma anche negli altri. Ho appreso, insomma, l’alto potenziale dell‘Intelligenza Emotiva, che è diventata con l’andare del tempo oggetto di numerosi studi e approfondimenti da parte mia.

L’intelligenza emotiva ci aiuta a evolverci

Le emozioni hanno avuto un ruolo evolutivo, aiutandoci a sopravvivere alle calamità e agli attacchi nemici milioni di anni fa. Pensate se i nostri antenati non avessero provato emozioni come paura, coraggio la specie umana non si sarebbe sopravvissuta. Se non ci fosse stato il sentimento dell’amore non saremmo qui. Oggi le emozioni ci aiutano a capire meglio noi stessi e gli altri, realizzare i nostri sogni, raggiungere i nostri obiettivi, attraverso la motivazione, una delle 5 caratteristiche dell’intelligenza emotiva.

Tutto è emozione

Ogni azione che noi compiamo genera un’emozione: gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, paura, accettazione, disgusto, secondo la classificazione che Robert Plutchik ha fatto delle emozioni primarie. Quindi non è fondamentale riconoscerle e saperle gestire? Affrontare le proprie emozioni significa diventarne consapevoli e imparare a osservarle. Pensate cosa significa in molti casi non saperle affrontare e farsi dominare da esse. Una vita in preda alle emozioni, ci può far vivere in maniera ansiogena, non ci fa vivere con serenità ed equilibrio.

Riconoscere le altrui emozioni

Per non parlare di quanto siano sane e appaganti le nostre relazioni quando sappiamo entrare in sintonia con gli altri, capirne i bisogni. Tutto si semplifica. L’empatia, altra caratteristica precipua dell’intelligenza emotiva, ci permette di instaurare rapporti improntati alla fiducia, all’armonia. Sarà che per me, vivere in un ambiente armonioso, dove c’è massima collaborazione, condivisione è fondamentale, ma saper “mettersi nei panni dell’altro “sviluppa immediatamente sentimenti di rispetto, fiducia. In tutti gli ambiti: personali, famigliari, professionali.

Un clima sereno

Siete consapevoli dei vantaggi di lavorare in un ambiente in cui regna la collaborazione, il supporto reciproco? Soprattutto in questi giorni difficili, dove la maggior parte di noi è in smart working, poter contare su colleghi disponibili, collaborativi, comprensivi, empatici cambia davvero la vita. Quando abbiamo il potere di capire cosa stiamo provando e cosa stanno provando gli altri abbiamo anche il potere di capire come comportarci. Ricerche dicono che il successo nella vita è determinato per l’80% dall’intelligenza emotiva. Non è difficile crederlo, dal momento che, quando le emozioni riescono a condizionarci positivamente, nella maggior parte dei casi la riuscita delle nostre azioni è sempre eccellente.

Sviluppare l’intelligenza emotiva

A differenza dell’intelligenza misurabile con il Quoziente Intellettivo, l’intelligenza emotiva si può sviluppare e coltivare. Le persone emotivamente intelligenti sanno conciliare ciò che la mente, la nostra voce interiore, dice con le nostre emozioni e sentimenti. Sono sicure di sé perché in grado di conoscersi e controllarsi, sanno gestire lo stress, vanno d’accordo con gli altri e nella maggior parte dei casi sono ottimiste e aperte al cambiamento. L’intelligenza emotiva è una specie di super potere, un alleato prezioso per raggiungere i propri risultati.

Il percorso per allenarla

Per poter allenare e sviluppare l’intelligenza emotiva ho predisposto un percorso.

Sono 2 le possibilità: :

  1. Un percorso one to one dove si verificherà il quoziente emotivo per poi intraprendere un cammino che aiuti a lavorare sulle eventuali aree di miglioramento.
  2. Un percorso di gruppo per lavorare sulle aree che compongono l’intelligenza emotiva: la consapevolezza, la padronanza di sé, la motivazione, l’empatia, le capacità relazionali.

Il corso di gruppo inizierà dopo Pasqua ad Aprile e sarà strutturato in 4 incontri di un’ora e mezzo l’uno con cadenza quindicinale.

Ci sarà una parte teorica, ma anche tanti esercizi pratici di Coaching per poter sviluppare consapevolezza e le abilità connesse all’intelligenza emotiva : affidabilità, adattabilità, flessibilità, creatività e autostima.

Un viaggio all’interno di se stessi per poter entrare meglio in connessione con gli altri

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Pessimista o ottimista? E’ una questione di prospettiva

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Sapete qual è la domanda giusta da porsi di fronte alle difficoltà ? ” Cosa ho bisogno di imparare da questa situazione e come posso crescere”? E’ questo l’approccio giusto per superare ogni situazione difficile. Perché da ogni circostanza, anche la più disastrosa, abbiamo sempre la possibilità di poter trarre insegnamenti e stimoli per poter cambiare, crescere, evolverci. Non si tratta semplicemente di aver un atteggiamento ottimista, resiliente. Certo non guasta. Ma di avere la capacità di osservare le situazioni da una prospettiva differente.

Il principio del reframing

Si tratta del principio del reframing, che consiste nel cambiare il significato di una situazione, di un modello comportamentale, o di un problema, attribuendogli una diversa immagine. Il mutamento della percezione è seguito da un cambiamento del significato della situazione, e la conseguenza è un cambiamento nelle reazioni e nei modelli comportamentali. E’ una prospettiva che si basa quindi sulla ricerca di un’intenzione positiva piuttosto che negativa. Gli ottimisti passano la loro vita riformulando le esperienze. Cercano automaticamente il positivo in ogni situazione e la reinterpretano per applicare un significato positivo all’esperienza. I pessimisti, invece, si comportano in maniera opposta. Interpretano le loro esperienze di vita andando automaticamente a cercare le situazioni negative. Il reframing fornisce una diversa prospettiva nel vivere un’esperienza.

Saper cogliere le opportunità

L’approccio positivo è quello, quindi, che ci consente non solo di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma anche di poter cogliere le opportunità che ogni circostanza comporta. E’ stato l’approccio che ci ha aiutato durante questi mesi difficili della pandemia. Quello spirito resiliente e ottimista, che ci ha permesso di cogliere le opportunità di una sosta forzata. C’è chi ha approfittato per riprendere a studiare, fare esercizi fisici seguendo tutorial o corsi on line. Grazie al benedetto zoom – lunga vita a chi lo ha inventato- abbiamo potuto seguire webinar, lavorare in smartworking, rimanere connessi con amici e parenti. Io e le mie amiche colleghe art therapist, Saba & Maryam, abbiamo potuto realizzare un’infinità di workshop di ArtCoaching e costruire una vera a propria community con tutte ( abbiamo avuto anche una presenza maschile, a dire la verità) coloro che ci hanno seguito durante quest’anno di incontri online, con persone, tra l’altro dislocate in altre città. Situazione che non si sarebbe mai potuta realizzare dal vivo. Io ho imparato a ideare e realizzare webinar, come quello sull’intelligenza emotiva, moderare dibattiti, realizzare dirette sui diversi canali social. Mai avrei creduto di poterlo fare anche solo un anno fa. Queste le cose che ho imparato, grazie a questa situazione di difficoltà, per rispondere alla domanda d’esordio.

Le imprese resilienti

Un interessante articolo pubblicato su D di Repubblica la scorsa settimana ha raccontato storie di aziende e professionisti che hanno saputo reinventarsi in quest’anno di lockdown , cambiando paradigma o addirittura settore di attività. Minimo comun denominatore di queste storie di resilienza, un atteggiamento ottimista, che non ha li fatti perdere d’animo, ma indotti a inventare, progettare, realizzare. Cogliere sempre le opportunità, che si nascondono sempre dietro a qualsiasi circostanza. E’ l’approccio vincente. Da pessimista a ottimista.

Gli esercizi di Coaching

Come di consueto, vi invito a prendere carta e penna e a fare un esercizio di Coaching. Fate un elenco di tutte quelle circostanze nelle quali da un episodio negativo si è prodotta una circostanza positiva. Provo a darvi qualche suggerimento:

  • la fine di una relazione sentimentale
  • la perdita del posto del lavoro
  • un’idea di business che non ha funzionato

Sono semplici esempi di situazioni, che al principio ci hanno sicuramente gettati nello sconforto, ma che con l’andare del tempo si sono trasformati in una nuova condizione di vita, che ci ha regalato in seguito gioie e soddisfazione. Io dal canto mio, se non avessi chiuso un rapporto di lavoro, non avrei studiato per diventare Coach e non avrei mai scoperto che questa sarebbe stata la professione che mi ha dato e mi sta dando tante soddisfazioni. E voi, cosa vi ha portato a cambiare la vostra vita, trasformando un fatto negativo in positivo ? Se volete condividere con me la vostra esperienza ne sarei davvero molto felice.

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7 consigli per ridurre lo stress

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Ieri ho provato consolare la mia adorata nipote Giulia, disperata perché a causa di una compagna di classe positiva al tampone, dovrà stare in quarantena fiduciaria e quindi non potrà andare a scuola. Ho percepito e capito quanto stress questa notizia ha causato a lei e a tutti i suoi amici e compagni. Questa situazione purtroppo si ripete ogni giorno in ogni città. Lo stress che questo provoca ai bambini e ai ragazzi è davvero enorme. Per cercare di consolarla, ho cercato di usare tecniche da Coach: farla focalizzare sugli aspetti positivi che questa situazione di disagio per lei può però offrirle. Non alzarsi presto la mattina, mangiare con il papà, che è in smart working, vedere il fratellino…Insomma, la tecnica è stata quella di farla concentrare sui pensieri positivi. Ha funzionato. Quindi se ha funzionato su una ragazzina di 11 anni, perché non dovrebbe funzionare sugli adulti, come rimedio contro lo stress?

Dissociarsi dalle emozioni

Il principio è semplice : cercare di dissociarsi dall’emozione negativa che stiamo provando. Portare la nostra mente a vedere e percepire qualcosa che genera invece uno stato di piacere, benessere. Una modalità che aiuta a produrre ossitocina, l’ormone che fa automaticamente diminuire lo stress e le emozioni negative. Proviamo a vedere qualche altra tecnica per potersi allontanare da uno stato di stress emotivo. Ve ne propongo 7. Vediamoli insieme.

1.Usare la terza persona

Usare il proprio nome anziché la prima persona “Io” ci aiuta a dissociarci dall’emozione, separarcene. Vederla staccata da noi ci dà la percezione che non ci appartenga. Non sono io a provare quell’emozione, ma qualcun altro, una terza persona. Quindi perché devo sentirmi coinvolto emotivamente se non sono io?

2. Osserva quello che sta accadendo

Invece di essere avvolti dallo situazione stressante, facciamo un passo indietro e osserviamo quello che sta succedendo a noi, ai nostri pensieri. Com’è il nostro respiro? E’ affannato? Prendiamone consapevolezza e iniziamo a respirare ad un ritmo regolare, con profondi inspiri ed espiri. Tecnica semplice, ma molto efficace.

3. Smettere di combattere l’emozione

Invece di porsi in uno stato di antagonismo con l’emozione che genera lo stress, ingaggiando una sorta di battaglia interiore, provate ad accoglierla, accettarla. E’ attraverso l’accettazione che operiamo un cambiamento nei confronti dell’emozione.

4. Sposta l’attenzione

E’ quello che ho fatto io con Giulia: spostare il focus su qualcosa di diverso. Un pensiero positivo, che induce alla calma. Riportare alla memoria il ricordo di un momento in cui siamo stati felici. Una bella esperienza passata, che ci ha divertito. Il pensiero negativo, fonte di stress viene annullato e scompare magicamente.

5. Riducilo a pezzettini

Spesso quando ci sentiamo stressati o sopraffatti dalle circostanze è perché cerchiamo di fare tutto in una volta. Provate a ridurre in piccole parti le attività che occorre realizzare. E’ utilissimo e molto efficace perché realizzare e portare a termine il micro-obiettivo rafforza la nostra motivazione a autostima. Raggiungere il nostro obiettivo, per piccolo che sia, ci fa sentire fieri e orgogliosi di noi oltre che porci in uno stato mentale positivo.

6. Metti in pausa

Se state affrontando un momento che vi genera uno stato di ansia o stress, mettetevi in pausa per 7 minuti. Puntate un timer sull’orologio o sul cellulare e per 7 minuti fate qualcosa di completamente diverso. Alzatevi, fate una passeggiata, bevete un bicchier d’acqua. Qualsiasi cosa che vi distolga da quella situazione per cui stavate provando uno stato d’animo negativo. Passati 7 minuti riprendete quello che state facendo. Sarete un’altra persona e vi sarete dimenticati dell’emozione stressante. Ve lo assicuro.

7. Parla con qualcuno a cui tieni

Prendetevi qualche minuto per parlare con la persona che vi fa stare bene. Non ditele ovviamente che vi sentite stressati. Basta dire che volevate sentire la sua voce e concentratevi proprio sul tono, il volume, sulle parole che sta pronunciando. Se proprio volete strafare, ditele o ditegli quanto tenete a lui o a lei. I sentimenti e le emozioni positive sono sempre la miglior medicina. Un rimedio infallibile per ridurre lo stress.

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