Grandi dimissioni: una nuova consapevolezza

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” Grandi dimissioni: 1,6 milioni in fuga dal lavoro in 9 mesi”. E’ Il tema all’ordine del giorno, è la notizia di cui si parla spesso sui giornali e nei dibattiti televisivi. Quiet quitting in inglese, grandi dimissioni nella nostra lingua. E’ una tendenza nata prima negli Usa, quindi negli altri paesi e ora anche da noi in Italia, dove si registra un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Val la pena di analizzare il fenomeno perché è lo specchio di un cambiamento, un nuovo paradigma che si affaccia nella nostra società. Senza scomodare i sociologhi, il fenomeno delle “grandi dimissioni” inizia da lontano, ma dopo la pandemia ha preso vigore e si va allargando sempre di più. Forse il concetto ” nulla sarà più come prima” invocato durante i mesi del lockdown, ha lasciato le sue conseguenze nel modo di vedere la nostra vita lavorativa.

Lo smart working ha cambiato l’approccio al lavoro

Le ragioni del fenomeno delle grandi dimissioni sono molteplici. Vediamo di esaminare le principali.

La volontà di trovare il giusto equilibrio tra vita personale e professionale. Sono cambiate le priorità. L’equilibrio tra vita affettiva e lavorativa è diventato un punto d’arrivo imprescindibile. Complice sicuramente il lavoro in smart working, una modalità più flessibile, ci si è resi conto che la nostra giornata non è fatta solo di riunioni interminabili, di una vita frenetica dove i tempi sono scanditi da altri e non da noi stessi, ma anche del piacere di stare in famiglia, con gli affetti più cari e del fatto di poter coltivare le proprie passioni. La qualità della propria vita è imprescindibile e diventa un bene a cui non vogliamo più rinunciare.

Generazioni a confronto

Il posto fisso non è più un punto d’arrivo. Qui gioca senz’altro il differente approccio culturale delle diverse generazioni : i boomers, i millenial e la generazione Z. Questi ultimi, soprattutto, hanno interiorizzato la necessità di dare maggiore attenzione al proprio benessere. Le loro scelte sono prima di tutto orientate alla ricerca di una maggiore qualità della propria vita. Da questo discende il desiderio di cambiare spesso luoghi di lavoro. Certo, il rovescio della medaglia è la mancanza di fidelizzazione all’azienda, che era stato uno dei capisaldi delle generazioni dei boomers. Ma anche su questo fronte i responsabili aziendali dovranno cercare di trasformare il frequente turn over del loro personale in forza propulsiva grazie all’innesto di nuove idee e approcci. Insomma trarre da un problema un’opportunità.

Grandi dimissioni = ricerca della propria crescita

Le grandi dimissioni sono anche una spia della volontà di mettersi in discussione per trovare altre opportunità di crescita non solo professionale, ma anche personale. Significa avere il coraggio di mettersi in ascolto dei propri bisogni più profondi. Una forma di ascolto di sé per poter esprimere al meglio la propria natura. Se pensate di essere arrivati in una fase della vostra esistenza nella quale la vostra realizzazione non deve più essere solo nella vostra vita professionale, se non è nella “carriera” che pensate di dovervi esprimere al meglio , ecco che, forse, siete forse arrivati al momento di girare pagina. La consapevolezza che l’espressione del sé può avvenire anche attraverso altri canali che non sono solo quelli professionali. Certo il bisogno di avere una sicurezza materiale ed economica sono alla base, ma se poi la nostra strada fosse nello scegliere uno stile di vita completamente diverso, magari in un altro luogo anche fisico? Se una vocina interiore vi sta dicendo che è arrivato il momento di cambiare, di scegliere una nuova vita, fermatevi ad ascoltarla.

Le powerful question

Se vi sembra giunto il momento di fare delle scelte, provate a rispondere a queste brevi domande. Come sempre prendete carta e penna: fissare nero su bianco i vostri pensieri aiuta a fare maggiore chiarezza.

  1. Come mi sento quando mi sveglio al mattino?

2. Quando penso di andare in ufficio che cosa provo?

3. In quale luogo mi sento davvero seren*?

4. Che lavoro mi sarebbe piaciuto fare da piccol*?

5. Qual è la mia grande passione?

Concludiamo il nostro breve esercizio attraverso un’attività creativa, che permette di mettersi in contatto con la parte più profonda di noi. Realizziamo una visual board, un tipico esercizio di Art Coaching. Prendiamo un cartoncino 50 x70 e attraverso i colori ( pastelli, pennarelli, matite colorate ciò che abbiamo a disposizione) o attraverso dei collage utilizzando dei ritagli da giornali, disegniamo quella che vorremmo fosse la nostra vita tra 2 anni. Per quest’attività cerchiamo di connetterci con la parte più profonda ed emozionale, senza lasciarci condizionare dalla nostra mente. Il risultato sarà sorprendente davvero. Fra 2 anni, riprendete la vostra visual board e vedete se la vostra nuova vita vi corrisponde. Potrete davvero sorprendervi.

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Colora il tuo futuro

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“Colora il tuo futuro” è stato il titolo dell’ultimo workshop di ArtCoaching dell’anno. Come da tradizione, la fine dell’anno è l’occasione per tracciare un po’ il bilancio di quanto abbiamo vissuto nel corso del 2021. E’ il momento in cui si analizza quanto è stato fatto: si verifica se le attese e gli obiettivi che avevamo espresso all’inizio dell’anno si sono verificati.

Flessibili e resilienti

Il più delle volte non è così: l’imprevisto è sempre in agguato. Le circostanze esterne- e negli ultimi due anni le circostanze hanno avuto un nome che abbiamo quasi paura a pronunciare – hanno cambiato il corso dei nostri progetti. Abbiamo imparato però a gestire l’emergenza. Siamo stati flessibili e siamo riusciti a cambiare in corsa quel progetto, quell’iniziativa che avevamo in animo di realizzare. Il più delle volte il bilancio dell’anno concluso ci porta a riconoscerci più flessibili, adattabili. L’anno scorsa la parola più in voga e utilizzata è stata resilienza. Quest’anno la resilienza è diventata una caratteristica insita in noi. Siamo intrinsecamente resilienti. E’ diventato un tratto caratteriale. E’ entrato nel nostro Dna. Il futuro sarà abitato solo da resilienti. Ma qual è la parola dell’anno 2021? Ce lo siamo chiesto durante il nostro workshop.

La parola dell’anno

Sicuramente il vocabolario è stato più vario quest’anno. Le parole magiche sono state equilibrio, condivisione. Ci siamo assuefatti alla situazione circostante, che da eccezionale è diventata ormai normale. Per poter affrontare i marosi e le tempeste occorre essere in equilibrio. E’ come essere su una tavola di surf e cercare di solcare le onde senza mai cadere. Un equilibrio precario, ma pur sempre equilibrio. Questo grazie alla consapevolezza di sé, la capacità di non farsi sopraffare dalle circostanze esterne, come se avessimo una bussola interiore che ci indica sempre la direzione che dobbiamo intraprendere. Essere centrati e allineati. Abbiamo imparato ad affrontare il futuro con questa nuova consapevolezza.

Condividere

L’altra parola magica che sicuramente ha caratterizzato il 2021 è stato condivisione. Dopo il forzato distanziamento a cui siamo stati costretti l’anno scorso e nella prima parte di quest’anno, abbiamo apprezzato ancora di più il valore degli affetti, dello stare insieme. Da incalliti individualisti abbiamo imparato ad apprezzare la collettività. Abbiamo apprezzato il valore degli altri. Abbiamo imparato a non dare nulla di scontato. Abbiamo cominciato ad apprezzare quelle situazioni che credevamo fossero la norma e invece non lo erano. Ogni giorno dobbiamo essere consapevoli che è un dono. Dobbiamo coltivare la gratitudine quotidianamente. Essere consapevoli di quello che abbiamo, concentrandoci sulla presenza e non sull’assenza.

Un esercizio di consapevolezza

Provate anche a voi a fare lo stesso esercizio che abbiamo fatto noi ieri durante il workshop: quale parola ha caratterizzato il vostro anno? Per i più creativi la domanda potrebbe anche essere “se fosse stato un film l’anno che si sta concludendo, che film sarebbe stato?” E’ il gioco del “se fosse” che abbiamo fatto tutti da bambini. Lasciar andare l’immaginazione ci aiuta a connetterci con il nostro io più profondo. Uscire dagli schemi mentali ci porta a essere più spontanei, più creativi. Diventare per un po’ bambini ci aiuta a liberarci dai condizionamenti. Possiamo mettere le ali alla nostra fantasia. Provateci, sarà piacevole. Durante il nostro workshop ci siamo liberate e abbiamo dato libero sfogo alla creatività e i risultati sono stati davvero sorprendenti. Liberi dal lasciarsi andare…

Cosa ci riserva il futuro

Se è vero che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, è nel visualizzare il proprio futuro in maniera creativa che possiamo gettare le basi per la creazione di ciò che ci sta veramente a cuore. Provate ancora una volta a trare ispirazione da un film o anche solo dal titolo per iniziare a visualizzare ciò che vorreste davvero realizzare. Mettetevi in ascolto del vostro istinto, della vostra anima per capire cosa vi fa stare veramente bene. Sarà la bussola che vi indicherà la strada da percorrere. Per essere artefici del vostro destino e per colorare il vostro futuro. Buon 2022 di consapevolezza a tutti.

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Il potere del “noi”

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Avete mai provato a pensare quante volte durante il giorno pronunciate il pronome “noi” e quanto “io”‘?

Le ricerche in campo psicologico dimostrano che l’uso dei pronomi “noi” è associato a relazioni più felici e a una migliore risoluzione dei conflitti rispetto a quando ci concentriamo su “me” e “te”.

Il contesto storico in cui stiamo vivendo e la pandemia ci ha insegnato una grande verità” nessuno di salva da solo”. Lo vanno ripetendo i leader illuminati che hanno affrontato in maniera più efficace la situazione dal punto di vista sanitario.

“Nessun uomo è un isola”

La poesia di John Donne sull’importanza di rimanere uniti di fronte alle avversità ne è un’ulteriore testimonianza. Ma torniamo all’uso del “noi”. L’utilizzo del pronome plurale dimostra ancora una volta il potere delle nostre parole e del nostro linguaggio nell’influenzare la nostra prospettiva e il nostro pensiero. Quando scegliamo le parole giuste, possiamo influenzare la nostra mente in modo potente. Pensiamo al nostro dialogo interiore e riflettiamo sull’utilizzo delle parole e al loro significato. Per chi esercita la professione di Coach è fondamentale ascoltare e prestare attenzione all’utilizzo delle parole stesse. Le parole esprimono il nostro pensiero, il nostro sentimento, le nostre emozioni. Prestate attenzione al modo in cui vi esprimete. A volte basta una parola per cambiare completamente il tono di ciò che stiamo comunicando. E questo ovviamente si riverbera sulle nostre relazioni. Un utilizzo delle parole attento e rispettoso si riflette nella qualità delle nostre relazioni. Alzare i toni, urlare non favorisce certamente il dialogo, lo scambio, la comprensione.

Chi dice noi ha relazioni più felici

In un’analisi pubblicata sul Journal of Social and Personal Relationships, i ricercatori hanno analizzato 30 studi su quasi 5.300 partecipanti e hanno scoperto che le coppie che spesso dicono “noi” hanno relazioni di maggior successo e sono complessivamente più felici e più sane.

In totale, i ricercatori hanno esaminato cinque diverse misurazioni: risultati della relazione (soddisfazione, durata dell’unione), comportamenti relazionali (interazioni positive vs. negative osservate), salute mentale, salute fisica e comportamenti sanitari (quanto bene i partecipanti si prendono cura di se stessi) .

La leadership ragiona con noi

Non è solo nelle relazioni di coppia che il passare dall’esprimerci ( e comportarci) in termine di “noi” porta i suoi benefici. Lo ritroviamo in tutti i rapporti: di amicizia, in famiglia, sul lavoro.

Nei colloqui di lavoro, uno studio pubblicato dall’Institute of Electrical and Electronic Engineers ha scoperto che l’uso di “Noi” invece di “Io” era un potente predittore di candidati valutati in modo più favorevole, compreso l’essere visti come più positivi e amichevoli. Nei ruoli di leadership, uno studio pubblicato su Developmental Psychology ha scoperto che l’uso di un linguaggio incentrato sul gruppo come “Noi” prevedeva chi sarebbe stato eletto come leader. L’uso di “noi” implica un legame di gruppo: una partnership, una squadra, una famiglia, una tribù, una comunità. Quando usiamo “noi” , colleghiamo automaticamente i nostri obiettivi, valori e intenzioni ad altre persone che riteniamo essere nella nostra stessa condizione. Nessun si salva da solo, appunto. Del resto la nostra natura di animali sociali ci ha portato ad evolverci e a crescere.

Il potere del noi accresce l’empatia

Cerchiamo di analizzare le ragioni del valore dell’esprimerci e agire in termini collettivi e non individuali. Il potere del “noi” aiuta a creare un senso di:

Identità condivisa

quando usi il termine “noi”, stai facendo sapere alle persone che fanno parte del tuo gruppo. Questo sviluppa un potente senso di appartenenza e identità collettiva (che si tratti di una famiglia, un’azienda, una squadra sportiva, una religione o nazione). I leader di successo sono in grado di creare nuove identità ed estendere la loro definizione di “noi” per portare nuove persone nella loro cerchia di empatia. E’ una delle principali caratteristiche dell’intelligenza emotiva essere empatici: mettersi nei panni degli altri, comprendere le situazioni e gli stati d’animo altrui. Significa sapere creare un ambiente armonico, fatto di ascolto e comprensione. Non c’è una frattura fra me e te. Ci siamo noi.

Obiettivi condivisi

Il sintonizzarsi sul “noi” aiuta le nostre relazioni perché consente alle persone di percepire che si sta lavorando insieme per raggiungere il medesimo obiettivo o risolvere un problema. Dire “Dobbiamo risolvere questa situazione ” o “Dobbiamo prendere una decisione su questo argomento ” è molto più amichevole e cooperativo che dire “Devi risolvere questa situazione ” o “Devo prendere una decisione su questo argomento.” Il “noi” implica il lavoro di squadra e uno sforzo e investimento reciproco da parte di tutti.

Risultati condivisi

Il “noi” non riguarda solo la condivisione dei problemi, ma anche la condivisione dei risultati e dei momenti piacevoli. In generale, le coppie che impiegano più tempo per riflettere su ricordi positivi e condividere nuove esperienze insieme, lavorare su progetti comuni tendono ad essere più felici e più sane, e pensare in termini di “noi” enfatizzerà questa verità. Condividere i successi con il proprio partner, con chi ci sta vicino rafforza la relazione e il loro credito, soprattutto se si fa sapere loro che non si sarebbe potuto raggiungere il risultato senza la loro presenza. Essere felice per il successo di chi ci sta accanto come se fosse nostro: fare i complimenti alle persone, congratularsi e far sapere loro che ne siamo orgogliosi . Il successo è il più delle volte frutto di una combinazione di molte persone che lavorano insieme, quindi il “noi” aiuta a evidenziarlo e a sottolineare quella crescita e successo condivisi.

Spostare il focus da sè agli altri

Lasciar andare “me” – Concentrarsi troppo su “me” è spesso un segno di depressione. Il fatto di continuare a rimuginare su se stessi, sui propri problemi non ci fa crescere e progredire. Rimanere troppo concentrarsi su stessi può, alla lunga, portare ad una fossilizzazione. Per rompere questo schema dobbiamo uscire da noi stessi e concentrarci su cosa possiamo fare per aiutare gli altri. Questo è uno dei motivi per cui è stato dimostrato che avere una mentalità generosa, come compiere atti di gentilezza e volontariato, migliora la salute mentale. La gentilezza ci dà l’opportunità di spostare la nostra attenzione lontano da “me” e verso il “noi” più grande dell’umanità.

Parlare più “noi” ha molti potenziali vantaggi, ma il più importante è che cambia radicalmente il modo in cui vediamo noi stessi e le nostre relazioni nel complesso.

La natura umana è interconnessa. Ogni individuo è in parte definito dalle relazioni che lo circondano (famiglia, amici, persone care, colleghi, conoscenti, ecc.), e in fondo le nostre vite sono tutte influenzate dalla qualità di queste relazioni.

“Nessun uomo è un’isola” è una verità fondamentale, che tu possa vedere il tuo “noi” o meno.

Per costruire felicità e significato nella nostra vita, spesso abbiamo bisogno di costruire relazioni strette e profonde con gli altri. Ciò ci impone di vedere il nostro benessere come sovrapposizione con il benessere degli altri.

Una volta compresa questa verità fondamentale, dire “noi” inizia ad essere più naturale oltre che dimostrare che:

“Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di dare, non in ciò che è capace di prendere” Albert Einstein

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Come liberarsi dal bisogno del controllo

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Quante volte ci siamo sentiti sopraffatti dal bisogno di controllare tutto e tutti? Il tema è già stato affrontato più volte. Eppure la realtà ci pone di fronte quasi quotidianamente a persone che non riescono a vivere in maniera serena, senza dover agire con questo bisogno del controllo spesso esasperato.

Per prima cosa occorre chiedere perché si agisce così? Le ragioni sono molteplici, ma la risposta più diffusa è l’incapacità di poter far fronte agli imprevisti, la non capacità di misurarsi con situazioni inaspettate. Esercitare il controllo significa avere sempre tutto…sotto controllo, appunto. Pensare che tutto si possa svolgere e realizzare secondo quanto abbiamo programmato ci dà sicurezza, ci dà la percezione che tutto si possa svolgere senza imprevisti. L’incapacità di gestire l’imprevisto è sempre sintomo di insicurezza, genera stress. Spesso è la spia di una scarsa autostima.

Controllo ergo non sbaglio

Non sapersi misurare con quanto crediamo di non conoscere, la paura dell’ignoto è ciò che spesso alimenta questo nostro desiderio di esercitare il controllo. Come se nella nostra testa volessimo immaginare, ripercorrere quello che dovrebbe succedere. Come in una rappresentazione teatrale, dove l’attore prova e riprova la stessa scena. Ma lì esiste una piéce, un autore che ha previsto come la scena da copione debba svolgersi. Ma la vita – fortunatamente- non è così. Esistono gli imprevisti, le situazione inaspettate. La nostra esistenza è piena di colpi di scena, a volte fortunati, a volte meno. Ma il sapersi misurare e il sapersi adattare è il bello della vita stessa. Vorremmo forse un’esistenza in cui l’esito finale fosse già conosciuto? Vogliamo già conoscere come va a finire il nostro film? La risposta è no. Dobbiamo invece poterci organizzare come se avessimo a disposizione una cassetta degli attrezzi, uno per ogni situazione davanti alla quale ci si trovi. Uno per ogni guasto che si possa palesare. Un cacciavite, una chiave inglese per qualsiasi emergenza…

La libertà di trovare la soluzione

Non pensate che essere attrezzati a gestire ogni imprevisto sia sinonimo di grande libertà? Significa non essere ingabbiati nella schiavitù della paura. La paura di sbagliare. Di non essere all’altezza. Sapere che dentro di noi ci sono tutte le risposte e le risorse per affrontare ogni circostanza, lo strumento giusto al momento giusto, ci fa sentire consapevoli della nostra forza interiore. Superare la paura di commettere errori. Perché cos’è l’errore? Che cosa ci spaventa tanto? Il giudizio degli altri ? La nostra percezione di non essere all’altezza? E per chi? per noi? Per gli altri? Liberiamoci da questa paura. Spesso dagli sbagli si impara. Quindi perché avere paura dell’errore? Anzi, ci aiuta a migliorarci e ad evolverci. Sbagliando si impara, lo dice anche il proverbio.

Imparare dagli errori

Quindi ben venga l’errore, se ci può aiutare a superare una nostra resistenza, un nostro limite. Ci insegna ad essere flessibili. Se tutti i giorni ripetiamo ossessivamente le stesse azioni, senza introdurre mai nulla di nuovo, ci sentiamo appagati? Forse plachiamo la nostra ansia momentanea, ma poi ci atrofizziamo. Non cresciamo, non evolviamo. Se, viceversa, ci troviamo di fronte ad una nuova circostanza, possiamo mettere a frutto la nostra capacità di problem solving. E una volta trovata la soluzione, la nostra autostima ne trae giovamento. E’ un circolo virtuoso: affronto il nuovo, trovo la soluzione, sono fiero di me. E sono di nuovo pronto ad affrontare una nuova sfida. Lanciarsi in nuovi progetti, in nuovi modi di affrontare le situazioni ci permette di uscire da quella zona di comfort nella quale ci siamo confinati. Il bisogno di controllo spesso è anche un modo per boicottarci. Non volerci mettere alla prova proprio per rimanere confinati nel nostro cantuccio. Aprirci al mondo significa metterci anche in ascolto di noi stessi. Significa prendere consapevolezza delle nostre capacità.

Le aspettative disattese

Se vogliamo liberarci dal bisogno del controllo, dobbiamo anche liberarci dalle nostre aspettative. Sono loro spesso le nostre gabbie. Sono diverse le aspettative che spesso noi nutriamo:

-nei confronti di noi stessi,

-nei confronti degli altri,

-nei confronti della vita in generale.

Nutrire aspettative significa essere condannati ad una vita dove il più delle volte sono disattese. E questo non può che generare frustrazione e spesso rabbia. Innesca un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire . Controllo affinché le mie aspettative si possano realizzare, non si realizzano, mi sento frustrata, allora aumento il mio controllo. Un modo per cercare di uscire da questo meccanismo perverso è chiedersi e descrivere dettagliatamente quali sono le nostre pretese, in tutte 3 le aree che abbiamo elencato. Quando capiremo che le nostre aspettative ci tolgono energia e benessere, quando avremo capito che la soluzione è lasciare andare, accogliere ciò che la vita ci può offrire, senza esercitare alcun tipo di controllo, allora saremo veramente liberi di accettare con gioia l’inaspettato. Perché come dice Alejandro Jodorowsky:” Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei”

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Scopri il tuo ikigai

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“Scopri il tuo Ikigai” è stato il titolo del nostro workshop di ArtCoaching. Il tema non è certo nuovo, ma occorre ogni tanto risintonizzarsi su ciò che ci rende realmente felici e ci dà lo stimolo per alzarci tutte le mattine con entusiasmo. L’ikigai (生き甲斐) (iki-vivere, gai-ragione) è l’equivalente giapponese di espressioni italiane quali “ragione di vita”, “ragion d’essere”. L’argomento dell’Ikigai è stato anche l’occasione per riflettere non solo sulle nostre scelte, ma sulle non scelte, una riflessione su quello che talvolta non abbiamo fatto per timore, paura di non essere all’altezza. Qualche volta la nostra non-scelta è stata anche dettata da quelle che, nel corso del workshop, ho definito le “sirene dell’amore”. A volte, prima di metterci ad ascoltare la nostra voce interiore , ci poniamo in ascolto di istanze di coloro che amiamo, dei componenti della nostra famiglia, ad esempio. Quante volte ci è capitato di volerli assecondare per paura di contraddire i sogni degli altri e non i nostri? Il nostro bisogno di essere amati, gratificati passa davanti a tutto e spesso calpesta la nostra passione. Non abbiamo voluto o saputo seguire il nostro Ikigai per paura di non essere compresi e amati.

Mettersi in ascolto

Certo crescendo questo bisogno di avere l’appoggio incondizionato viene meno. Diventiamo adulti e abbiamo gli strumenti per capire che se noi siamo felici, sereni e appagati, lo sono anche coloro che ci vogliono veramente bene. Sempre semplice, ma è un concetto che fatichiamo a fare nostro. Temiamo che la nostra felicità possa passare dall’infelicità dell’altro. Ma è solo un tentativo di autosabotaggio. E’ una credenza limitante. Un alibi per non uscire dalla nostra zona di comfort. E per non responsabilizzarci. Scegliamo di avere un capro espiatorio, qualcuno al quale attribuire la causa della nostra non felicità o realizzazione. E’ la condizione della vittima. Lo spiega bene Selene Calloni Williams nel suo libro “Ikigai- Ciò per cui vale la pena vivere”, scritto in collaborazione con Noburi Okuda Do. Gli autori spiegano che per poter raggiungere la nostra piena realizzazione dobbiamo intraprendere un percorso a tappe che ci porta ad una trasformazione alchemica, che consiste in un percorso di trasformazione interiore che ci porta ad identificarci con la nostra anima e a trovare il nostro ikigai.

Lo stadio della vittima

La prima tappa di questo percorso è uscire dalla gabbia del vittimismo dove riteniamo che tutto “accada a me”. Proviamo a ragionare su tutte le volte in cui ci siamo sentiti vittima nel corso della vita. Analizziamo tutte le volte in cui abbiamo attribuito a circostanze esterne le nostre disavventura. E’ la sindrome di Calimero. Tutto accade a me perché sono piccolo e nero, come recitava la reclame ( siamo negli anni 60-70 anni e si chiamava proprio così) di Carosello, che senz’altro i boomers o gli esponenti della generazione X si ricordano…E’ capitato almeno una volta di tutti.

I condizionamenti

La seconda tappa per poter prendere piena consapevolezza di ciò per cui vale la pena vivere, per essere nel flow, dal momento che è questo il sentimento dell’ikigai, provare il massimo piacere perché si è in linea con la propria passione, consiste nel domandarsi che cosa abbiamo voluto in passato perché in linea con i valori famigliari, sociali. In una parola il condizionamento che ci ha portato a fare scelte che non erano in linea con la nostra anima. Troppo spesso le nostre decisioni sono state dettate da scelte altrui. Lo abbiamo visto. Le sirene dell’amore ci hanno spesso allontanato dal nostro Ikigai. La consapevolezze è il primo passo per prenderne coscienza e fare la scelta adeguata. Bisogna liberarsi dalle manipolazioni, dai ricatti morali e affettivi. Ikigai significa fare esattamente ciò per cui la nostra anima è venuta. James Hillman ce lo insegna nel suo “Codice dell’Anima”.

La nostra missione

E’ questo ciò a cui dobbiamo ambire. Individuare la nostra passione, capire che cosa ci appaga totalmente, che non ci rende mai stanchi e che potremmo fare per ore senza stancarci mai. Provate a a chiedervi quale sia il vostro grande ideale. Non abbiate paura di ammetterlo a voi stessi. Lo possiamo trovare anche in tarda età. Non importa. Ciò che è fondamentale è poterlo capire per poterlo perseguire e mettere in atto.

La paura di non essere all’altezza

Cosa ci impedisce di mettere in pratica, una volta individuato, il nostro ideale? Spesso la paura di non farcela, l’insicurezza di non essere abbastanza. Scriviamo nero su bianco allora quelle che sono le nostre paure, i nostri timori. Prenderne consapevolezza è un modo per poterle affrontare con determinazione. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura” diceva Sun Tzu nell’Arte della Guerra. Guardare il nemico negli occhi significa essere pronti per affrontarlo.

Disegna il tuo ikigai

Superati questi stadi: la vittima, ciò che si perseguiva a causa di condizionamenti esterni, l’individuazione del nostro ideale, il superamento delle paure, si è pronti alla trasformazione: diventare ciò che vogliamo essere. Perché l’ikigai ci consente di essere, non di avere. Esprime la nostra vera natura. Ci allinea al nostro io più profondo. Una volta individuato, così come abbiamo fatto nel nostro bellissimo workshop, esprimiamolo anche visivamente. Realizziamo il simbolo del nostro Ikigai. Diamogli una forma, oltre che una sostanza. Esprimiamo così “l’essenza nella forma”.

Perché la visualizzazione è molto potente. E durante i nostri workshop di ArtCoaching lo sappiamo bene.

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Perché è importante essere persone empatiche

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Provate a rispondere a queste 3 semplici domande:

  1. Mi soffermo a comprendere i miei sentimenti e quelli degli altri?
  2. Quando prendo decisioni, soppeso i punti di vista degli altri?
  3. Presto piena attenzione quando qualcuno mi parla?

Bene, se avete risposto positivamente a queste 3 domande siete delle persone empatiche. Il che è un bella cosa, specie in questi tempi, nei quali come viene più spesso ripetuto “Nessuno si salva da solo”. Mai come in questo ultimo anno il valore della collettività è stato esaltato e ha manifestato tutta la sua importanza. Siamo tutti parte di un insieme.

L’importanza della connessione

Questa mattina ho imparato, grazie alla mia amica Sandra, una nuova parola : Ubuntu, un termine africano che significa “Io sono perché noi siamo” . E’ quello che si è sentito dire un antropologo, che ha fatto fare un gioco a dei bambini di una tribù africana: dopo aver posizionato un cesto di frutta sotto un albero, aveva invitato i ragazzini a correre verso l’albero. Chi fosse arrivato prima, si sarebbe aggiudicato il gustoso premio. Ebbene, con sua grande sorpresa, i bambini non si sono scatenati in una corsa individuale, ma si sono presi tutti per mano, hanno camminato verso l’albero. Allo stupore dell’antropologo, i bambini hanno appunto risposto. “Ubuntu”. Il gioco non aveva scatenato la competizione, bensì il senso collettivo di camminare insieme per raggiungere uniti il risultato. Una bella favola moderna, anche se fortunatamente era reale. I ragazzi hanno dimostrato di essere persone empatiche. Tutti connessi.

I 3 gradi di empatia

Possiamo essere empatici con gradi diversi di intensità. Lo sapevate?

  • Empatia cognitiva
  • empatia emozionale
  • empatia compassionevole

Non è detto che tutti abbiamo lo stesso modo di saperci mettere in connessione con gli altri. Possiamo essere empatici perché cogliamo l’importanza degli altri, oppure possiamo esserlo mettendoci con più sentimento in ascolto degli altri. Infine, il massimo grado è mettersi nei panni degli altri, comportandoci in maniera piena, consapevole, attivando gesti di aiuto e collaborazione. Insomma essere “ubuntu”.

Coltivare l’empatia

Se empatici si nasce, possiamo però anche cercare di sviluppare atteggiamenti che ci portino ad essere più connessi con gli altri. Connessi in maniera compassionevole, appunto. Essere empatici non è solo mettersi nei panni degli altri, generando senso di gioia da parte dell’oggetto dell’empatia. Fa bene anche a noi che la pratichiamo: in primis genera apertura e fiducia nei nostri confronti. Consente di sviluppare relazioni solide e profonde fra le persone. Avere buone relazioni è una delle chiavi per vivere in maniera serena e appagata. Essere circondati da sentimenti di amore, attenzione, fiducia è profondamente gratificante, siete d’accordo? Essere empatici, aiutare gli altri ci aiuta anche a superare stati emotivi negativi, perché spostiamo il focus da noi stessi a qualcun altro. Significa togliere potere all’emozione negativa. Fare bene, fa bene, lo abbiamo ripetuto più volte.

Qualche consiglio utile

Come accrescere l’empatia e la connessione? Qui sotto trovate qualche consiglio utile.

  1. Sviluppa interesse nei confronti di qualcun che non conosci
  2. Chiedi un feedback sulle tue azioni e comportamenti
  3. Diventa un osservatore di persone
  4. Identifica e supporta una causa benefica
  5. Esprimi il tuo apprezzamento e gratitudine

La gestione dei conflitti

Essere persone empatiche aiuta anche a superare e gestire i conflitti. Vedere le circostanze da una prospettiva differente, non necessariamente la nostra, ci aiuta a vedere la situazione in maniera oggettiva, ancora senza il filtro dell’emozione. Provate a pensare ad una situazione nella quale voi e un’altra persona avete avuto dei dissapori. Esaminare la situazione dal solo proprio punto di vista non consente di vedere che ci possono essere altre soluzioni. Diventate osservatori esterni e esaminate le posizioni dei 2 contendenti. Sicuramente vi farà intravedere soluzioni inaspettate. Non è detto che la posizione del vostro interlocutore non sia quella più ragionevole.

Un webinar sull’Intelligenza Emotiva

L’empatia è una delle caratteristiche dell’Intelligenza Emotiva. Su questo argomento la prossima settimana, riparte un nuovo webinar che all’empatia dedicherà una sessione specifica.

Essere persone empatiche ci preserva da comportamenti egoistici, ci mette in connessione con gli altri e ci fa sentire persone persone di valore. Accresce e aumenta la nostra autostima. E ci fa sentire tutti Ubuntu…Che è un bel sentire…

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Le 10 chiavi della felicità

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Oggi, 20 Marzo, è la Giornata Mondiale della Felicità.

Propongo una classifica delle 10 chiavi della felicità. Sono frutto di una riflessione personale, unita suggerimenti da parte di Action for Happiness, organizzazione che conta oltre 115 mila persone in 174 paesi.

Conosci te stesso

Conosci te stesso – γνῶϑι σεαυτόν è scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, luogo da cui emana ancora oggi tanta energia. E conoscere se stessi è la base per poter vivere una vita serena, autentica, consapevole.

Gratitudine

Provare gratitudine- Il tema della gratitudine è un tema al quale faccio ricorso sempre, perché mi è molto caro. Significa essere consapevoli di tutto ciò che si ha, di ciò che la vita ci regala ogni giorno. Un atteggiamento grato si accompagna ad un atteggiamento volto a vedere quello che abbiamo senza soffermarsi sulle mancanze

Avere buone relazioni

Coltivare le buone amicizie, buoni rapporti con i famigliari improntando sempre tutte le relazioni alla comprensione, all’accoglienza, all’inclusione, all’aiuto verso chi ha bisogno, alla presenza. Avere buone relazioni è anche indice di Intelligenza Emotiva.

Avere un obiettivo

Quanta soddisfazione proviamo quando raggiungiamo i nostri traguardi? Quando, dopo aver messo a fuoco ciò che vogliamo raggiungere, esaminiamo le risorse a nostra disposizione, realizziamo il nostro piano d’azione e siamo in grado, infine, di raggiungere i nostro obiettivi non ci sentiamo felici? Da Coach provo una grande soddisfazione quando vedo i miei Coachee felici e soddisfatti per aver ottenuto la gratificazione di veder concretizzato ciò che desideravano da tempo. Qui la felicità è doppia: mia e dei miei Coachee.

Imparare cose nuove

Non si finisce mai di imparare e l’apprendimento è uno stimolo continuo ad evolversi, crescere, cercare sempre più risposte, che producono nuove domande. E’ la gioia della conoscenza, una fonte che non esaurisce mai.

Essere gentili

Alla gentilezza abbiamo dedicato numerosi articoli. Essere gentili fa bene. Si produce più ossitocina, uno degli ormoni del benessere. L’Università della British Columbia ha condotto uno studio su un gruppo di persone ansiose. Dopo che queste hanno compiuto atti di gentilezza per un mese, gli stati d’animo d’ansia sono diminuiti e sono aumentati gli stati d’animo positivi.

Accettarsi

Accettare se stessi per come si è, rispettarsi, amarsi è un altro importante elemento per poter vivere una vita felice. Stare bene con sé stessi significa anche avere relazioni soddisfacenti con gli altri. Non dimentichiamolo. Se non siamo noi i primi a volerci bene, come possiamo pretendere che lo facciano anche gli altri?

Avere un atteggiamento positivo

Cerchiamo di vedere il mondo con occhi positivi, esaltando ancora una volta quello che di bello esiste nella nostra vita. Un atteggiamento positivo è anche un atteggiamento di grande resilienza, che ci aiuta a risollevarci velocemente dalle situazioni difficili.

Avere tempo libero

Il tempo è una risorsa sempre più preziosa. Aver tempo per sé stessi, per dedicarsi alle proprie passioni. Tempo da dedicare alle persone care. Fermarsi a riflettere, dedicarsi all’ozio creativo, come dice il sociologo De Masi.

Dare un significato alla nostra vita

Avere uno scopo, un fine verso il quale dirigersi. Capire qual è il nostro posto del mondo. Non si tratta di avere un obiettivo. E’ più profondo. E’ il senso della vita . Questa è la felicità. ” Perché lo scopo della nostra vita è essere felici” come dice Sua Santità il Dalai Lama
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Pessimista o ottimista? E’ una questione di prospettiva

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Sapete qual è la domanda giusta da porsi di fronte alle difficoltà ? ” Cosa ho bisogno di imparare da questa situazione e come posso crescere”? E’ questo l’approccio giusto per superare ogni situazione difficile. Perché da ogni circostanza, anche la più disastrosa, abbiamo sempre la possibilità di poter trarre insegnamenti e stimoli per poter cambiare, crescere, evolverci. Non si tratta semplicemente di aver un atteggiamento ottimista, resiliente. Certo non guasta. Ma di avere la capacità di osservare le situazioni da una prospettiva differente.

Il principio del reframing

Si tratta del principio del reframing, che consiste nel cambiare il significato di una situazione, di un modello comportamentale, o di un problema, attribuendogli una diversa immagine. Il mutamento della percezione è seguito da un cambiamento del significato della situazione, e la conseguenza è un cambiamento nelle reazioni e nei modelli comportamentali. E’ una prospettiva che si basa quindi sulla ricerca di un’intenzione positiva piuttosto che negativa. Gli ottimisti passano la loro vita riformulando le esperienze. Cercano automaticamente il positivo in ogni situazione e la reinterpretano per applicare un significato positivo all’esperienza. I pessimisti, invece, si comportano in maniera opposta. Interpretano le loro esperienze di vita andando automaticamente a cercare le situazioni negative. Il reframing fornisce una diversa prospettiva nel vivere un’esperienza.

Saper cogliere le opportunità

L’approccio positivo è quello, quindi, che ci consente non solo di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma anche di poter cogliere le opportunità che ogni circostanza comporta. E’ stato l’approccio che ci ha aiutato durante questi mesi difficili della pandemia. Quello spirito resiliente e ottimista, che ci ha permesso di cogliere le opportunità di una sosta forzata. C’è chi ha approfittato per riprendere a studiare, fare esercizi fisici seguendo tutorial o corsi on line. Grazie al benedetto zoom – lunga vita a chi lo ha inventato- abbiamo potuto seguire webinar, lavorare in smartworking, rimanere connessi con amici e parenti. Io e le mie amiche colleghe art therapist, Saba & Maryam, abbiamo potuto realizzare un’infinità di workshop di ArtCoaching e costruire una vera a propria community con tutte ( abbiamo avuto anche una presenza maschile, a dire la verità) coloro che ci hanno seguito durante quest’anno di incontri online, con persone, tra l’altro dislocate in altre città. Situazione che non si sarebbe mai potuta realizzare dal vivo. Io ho imparato a ideare e realizzare webinar, come quello sull’intelligenza emotiva, moderare dibattiti, realizzare dirette sui diversi canali social. Mai avrei creduto di poterlo fare anche solo un anno fa. Queste le cose che ho imparato, grazie a questa situazione di difficoltà, per rispondere alla domanda d’esordio.

Le imprese resilienti

Un interessante articolo pubblicato su D di Repubblica la scorsa settimana ha raccontato storie di aziende e professionisti che hanno saputo reinventarsi in quest’anno di lockdown , cambiando paradigma o addirittura settore di attività. Minimo comun denominatore di queste storie di resilienza, un atteggiamento ottimista, che non ha li fatti perdere d’animo, ma indotti a inventare, progettare, realizzare. Cogliere sempre le opportunità, che si nascondono sempre dietro a qualsiasi circostanza. E’ l’approccio vincente. Da pessimista a ottimista.

Gli esercizi di Coaching

Come di consueto, vi invito a prendere carta e penna e a fare un esercizio di Coaching. Fate un elenco di tutte quelle circostanze nelle quali da un episodio negativo si è prodotta una circostanza positiva. Provo a darvi qualche suggerimento:

  • la fine di una relazione sentimentale
  • la perdita del posto del lavoro
  • un’idea di business che non ha funzionato

Sono semplici esempi di situazioni, che al principio ci hanno sicuramente gettati nello sconforto, ma che con l’andare del tempo si sono trasformati in una nuova condizione di vita, che ci ha regalato in seguito gioie e soddisfazione. Io dal canto mio, se non avessi chiuso un rapporto di lavoro, non avrei studiato per diventare Coach e non avrei mai scoperto che questa sarebbe stata la professione che mi ha dato e mi sta dando tante soddisfazioni. E voi, cosa vi ha portato a cambiare la vostra vita, trasformando un fatto negativo in positivo ? Se volete condividere con me la vostra esperienza ne sarei davvero molto felice.

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7 consigli per ridurre lo stress

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Ieri ho provato consolare la mia adorata nipote Giulia, disperata perché a causa di una compagna di classe positiva al tampone, dovrà stare in quarantena fiduciaria e quindi non potrà andare a scuola. Ho percepito e capito quanto stress questa notizia ha causato a lei e a tutti i suoi amici e compagni. Questa situazione purtroppo si ripete ogni giorno in ogni città. Lo stress che questo provoca ai bambini e ai ragazzi è davvero enorme. Per cercare di consolarla, ho cercato di usare tecniche da Coach: farla focalizzare sugli aspetti positivi che questa situazione di disagio per lei può però offrirle. Non alzarsi presto la mattina, mangiare con il papà, che è in smart working, vedere il fratellino…Insomma, la tecnica è stata quella di farla concentrare sui pensieri positivi. Ha funzionato. Quindi se ha funzionato su una ragazzina di 11 anni, perché non dovrebbe funzionare sugli adulti, come rimedio contro lo stress?

Dissociarsi dalle emozioni

Il principio è semplice : cercare di dissociarsi dall’emozione negativa che stiamo provando. Portare la nostra mente a vedere e percepire qualcosa che genera invece uno stato di piacere, benessere. Una modalità che aiuta a produrre ossitocina, l’ormone che fa automaticamente diminuire lo stress e le emozioni negative. Proviamo a vedere qualche altra tecnica per potersi allontanare da uno stato di stress emotivo. Ve ne propongo 7. Vediamoli insieme.

1.Usare la terza persona

Usare il proprio nome anziché la prima persona “Io” ci aiuta a dissociarci dall’emozione, separarcene. Vederla staccata da noi ci dà la percezione che non ci appartenga. Non sono io a provare quell’emozione, ma qualcun altro, una terza persona. Quindi perché devo sentirmi coinvolto emotivamente se non sono io?

2. Osserva quello che sta accadendo

Invece di essere avvolti dallo situazione stressante, facciamo un passo indietro e osserviamo quello che sta succedendo a noi, ai nostri pensieri. Com’è il nostro respiro? E’ affannato? Prendiamone consapevolezza e iniziamo a respirare ad un ritmo regolare, con profondi inspiri ed espiri. Tecnica semplice, ma molto efficace.

3. Smettere di combattere l’emozione

Invece di porsi in uno stato di antagonismo con l’emozione che genera lo stress, ingaggiando una sorta di battaglia interiore, provate ad accoglierla, accettarla. E’ attraverso l’accettazione che operiamo un cambiamento nei confronti dell’emozione.

4. Sposta l’attenzione

E’ quello che ho fatto io con Giulia: spostare il focus su qualcosa di diverso. Un pensiero positivo, che induce alla calma. Riportare alla memoria il ricordo di un momento in cui siamo stati felici. Una bella esperienza passata, che ci ha divertito. Il pensiero negativo, fonte di stress viene annullato e scompare magicamente.

5. Riducilo a pezzettini

Spesso quando ci sentiamo stressati o sopraffatti dalle circostanze è perché cerchiamo di fare tutto in una volta. Provate a ridurre in piccole parti le attività che occorre realizzare. E’ utilissimo e molto efficace perché realizzare e portare a termine il micro-obiettivo rafforza la nostra motivazione a autostima. Raggiungere il nostro obiettivo, per piccolo che sia, ci fa sentire fieri e orgogliosi di noi oltre che porci in uno stato mentale positivo.

6. Metti in pausa

Se state affrontando un momento che vi genera uno stato di ansia o stress, mettetevi in pausa per 7 minuti. Puntate un timer sull’orologio o sul cellulare e per 7 minuti fate qualcosa di completamente diverso. Alzatevi, fate una passeggiata, bevete un bicchier d’acqua. Qualsiasi cosa che vi distolga da quella situazione per cui stavate provando uno stato d’animo negativo. Passati 7 minuti riprendete quello che state facendo. Sarete un’altra persona e vi sarete dimenticati dell’emozione stressante. Ve lo assicuro.

7. Parla con qualcuno a cui tieni

Prendetevi qualche minuto per parlare con la persona che vi fa stare bene. Non ditele ovviamente che vi sentite stressati. Basta dire che volevate sentire la sua voce e concentratevi proprio sul tono, il volume, sulle parole che sta pronunciando. Se proprio volete strafare, ditele o ditegli quanto tenete a lui o a lei. I sentimenti e le emozioni positive sono sempre la miglior medicina. Un rimedio infallibile per ridurre lo stress.

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Come abbandonare il controllo

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“Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non esercitiamo nessun controllo nell’istante in cui la biologia esprime la sua rivolta” : a dirlo è il filosofo Umberto Galimberti. La pandemia ci ha resi vulnerabili da tutti i punti di vista. Non solo a livello fisiologico, ma anche nelle nostre modalità di espressione, nelle nostre abitudini e nei nostri processi mentali. Abbiamo , però, anche capito che non possiamo esercitare alcun controllo su niente e nessuno. Forse. Anzi speriamo. Perché il Covid 19 ci ha messi di fronte a tutta la nostra fragilità di essere umani, ma ci ha anche insegnato tanto. Come non avere il potere di controllo sulla nostra vita, sui nostri progetti. E’ una frustrazione immensa. Eppure, se riusciamo a cogliere degli insegnamenti anche da un virus così micidiale, significa che siamo capaci di crescere e cogliere gli aspetti positivi da qualsiasi circostanza. Anche la più odiosa.

Perchè ci piace il controllo

Essere sempre al top, non sbagliare mai. E’ questo che ci è stato insegnato. Essere sempre bravi, non commettere mai errori. Ma è davvero terribile sbagliare? Il mito del perfezionismo ci è stato insegnata in giovane età. Soprattutto se abbiamo avuto dei genitori normativi. Regole e sempre regole. “Devi fare tutti i compiti, altrimenti non puoi giocare” ” Mangia tutto altrimenti non puoi vedere la televisione”. Quanti di noi si sono sentiti ripetere queste frasi da bambini? Molti sono cresciuti identificandosi perfettamente nella teoria meccanicistica del causa-effetto. Ad ogni azione consegue una reazione. Soprattutto una punizione se il compito non viene svolto bene. Ma bene per chi? Per chi esercita il controllo, ovviamente. Il controllo viene comunque esercitato anche dal genitore affettivo, per dirla con Eric Berne, padre dell’analisi transazionale. Al desiderio di soffocare e conseguente controllare non si sottrae anche il genitore apparentemente più permissivo. Perché il più delle volte si occupa degli altri in maniera intrusiva, anche senza che ve ne è bisogno e soprattutto senza che venga richiesto. E’ un atteggiamento che soffoca ” Io so quello di cui tu hai bisogno” è il pensiero, un chiaro modo per entrare nella vita degli altri. Controllandoli.

La paura degli imprevisti

La mania di esercitare il controllo va spesso di pari passo con il timore dell’imprevisto. Controllo così mi preparo per affrontare l’ignoto. Si soppesano tutti i dettagli, non si lascia – o si cerca di farlo- nulla al caso. E’ spesso un modo per tenere a freno l ‘ansia. Mi preparo già adesso per affrontare l’imprevisto. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Non abbiamo imparato la lezione? Chi avrebbe mai pensato che un giorno non saremmo potuti uscire di casa, avremmo lavorato in smart working, non avremmo potuto abbracciare – n’è vedere- i nostri cari? Neanche il più attento futurologo. Forse solo uno scrittore, come è stato con David Quammen con il suo romanzo “Spillover“. Ma si sa che gli artisti hanno dalla loro la fantasia, che fa loro preconizzare scenari che sembrano irrealizzabili.

L’insicurezza e la mancanza di autostima

Talvolta la causa del bisogno di esercitare un forte controllo non solo su stessi, ma anche sugli altri può essere causata da una profonda insicurezza nelle proprie capacità e una bassa dose di autostima. Ancora una volta il timore di sbagliare getta nel più totale sconforto. Ma proviamo a porci questa domanda” Cosa succede se sbagliamo?” Ovviamente non stiamo parlando dei super scienziati che hanno organizzato e supervisionato l’ammartaggio – come ho imparato che si dice- di Perseverance. Lì il controllo è sacrosanto e guai se non vi fosse. Stiamo, invece, parlando delle incombenze di tutti i giorni. Semplici attività che tutti noi compiamo quotidianamente. Cosa significa in questo caso commettere un errore? Nulla. Aggiungiamo anche che bisogna distinguere l’errante dall’errore, come qualcuno ben più autorevole di noi ha detto. Il fatto di commettere un errore, uno sbaglio non si ripercuote sull’autorevolezza della persona. Siamo umani. L’errore è dentro l’angolo. Perdoniamoci, ma soprattutto lasciamo andare “Tutto quello che non riesci a controllare, ti sta insegnando a lasciar andare” è il pensiero di Jason Kiddart. Niente di più vero.

Controllare le proprie emozioni

Sicuramente è di fondamentale importanza capire che controllare gli altri non è il modo migliore per stare meglio: cercare di dominare chi abbiamo intorno non è la soluzione. Per questo sarebbe consigliabile riuscire ad imparare a controllare noi stessi, d’altronde il problema è dentro di noi.

Inoltre, è importante capire che non possiamo controllare il nostro futuro: possiamo e dobbiamo concentrarci solo sul nostro presente, tenendo conto del fatto che non tutto può essere tenuto sotto controllo e forse questa è una delle poche certezze che abbiamo. Per questo è importante che lavoriamo su noi stessi e sul nostro mondo emotivo. E’ necessario far ricorso alla nostra intelligenza emotiva che ci insegna a conoscere, comprendere e gestire le nostre emozioni.

Il dialogo tra il chi controlla e chi no

Come possiamo uscire dalla gabbia del controllo in cui noi stessi ci siamo rinchiusi? Provate a fare questo esercizio: far dialogare tra loro il vostro Io controllante e il vostro Io che sa lasciar andare. Mettete per scritto un ipotetico dialogo. Aprite un documento word o se preferito prendete carta e penna. Impostate un timer per 5 minuti e iniziate a scrivere. Fate fare un’affermazione all’io censore a cui l’io permissivo può ribattere. E’ importante che il dialogo sia scritto perché vi aiuta a visualizzare il vostro modo di pensare e ragionare. Perché il vostro Io che esercita il controllo sia più distante da voi, dategli un nome diverso dal vostro. Vedrete che sarà un modo per allontanarlo da voi e toglierli potere. L’ultima affermazione deve essere del vostro io che sa come non esercitare il controllo. Date un nome al file e salvatelo. Riprendetelo in mano tutte le volte che sentite dentro di voi il desiderio irrefrenabile di controllare gli altri e le diverse situazioni. Cosa direbbe il vostro io, che sa che non si può esercitare il controllo se non : sulle vostre parole, sui vostri pensieri, sulle vostre emozioni, sulle vostre azioni, ecc ? Chiedeteglielo, è lui il saggio. Tutte le risposte sono già dentro di voi.

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Stare nel flow per essere felici

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Il flow è uno stato di coscienza nel quale la persona è completamente immersa in un’attività e la condizione è caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo. Il concetto di “flusso” fu introdotto nel 1975 dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi per poi diffondersi in vari campi di applicazione della psicologia, come lo sport, la pittura, la musica, la scrittura, la meditazione. Si raggiunge uno stato di flusso quando si è così appassionati di ciò che si sta facendo, che si è in grado di bloccare o dimenticare tutto tranne il compito in cui si è concentrati.

Essere in una bolla

Il flow è uno stato di grazia, un momento unico in cui riusciamo davvero ad estraniarci da tutto e tutti, in un’assenza temporale e di spazio. E’ come essere in una bolla, uno stato d’animo perfetto nel quale siamo connessi con noi stessi e proviamo un senso di piacere, leggerezza. Un momento di benessere ottimale, dove tutto è esattamente come vorremmo che fosse. E’ nel flow l’atleta concentrato sulla sua performance, l’artista che sta dipingendo la sua opera, il giocatore di scacchi concentrato sulla prossima mossa. Ma qualsiasi attività può creare uno stato di flow, se affrontata con la giusta mentalità e approccio. I nostri workshop di ArtCoaching sono un esempio di stare nel flow. Chi vi partecipa li descrive sempre come momenti in cui si vive estraniati dalla vita di tutti i giorni. Una magica bolla.

Lasciar andare

La capacità di fluire implica il saper lasciare andare. Si è concentrati solo sulla nostra attività, sul momento presente, e tutto il resto fuori. Sono attività dettate da una motivazione intrinseca e che ci piace fare solo per il gusto di farlo, non per ricompense esterne, come denaro, fama. Solo per il piacere di farlo. Csíkszentmihály le chiama attività “autoteliche” , dall’antico greco αὐτός, stesso e τέλος, fine, attività fini a se stesse.

Come si genera il flow

Per generale lo stato di flow occorre riuscire a trovare il giusto equilibrio tra le nostre capacità e abilità e le sfide che l’attività richiede. Se la sfida è troppo facile si rischia di annoiarsi; se, al contrario, è troppo difficile, rischiamo di provare frustrazione. L’equilibrio è sottile. E’ come trovare l’accordo giusto, il diapason della nostra motivazione intrinseca. L’esatto punto che ci fa vibrare. Quello che rende viva la nostra attenzione. Nulla di più, nulla di meno. Le attività che creano flusso sono focalizzate su un unico obiettivo. Nessuna distrazione da parte di obiettivi collaterali. Come l’arciere concentrato sul punto al centro del bersaglio. Nient’altro. Poiché le attività di flusso sono orientate agli obiettivi, necessitano di feedback immediati. Nel caso del giocatore di scacchi, la reazione dell’avversario alla sua mossa. L’atleta misura immediatamente il risultato della sua sfida. Questo anche se la persona che è nel flow non svolge l’attività per ottenere il feedback, il conforto dei risultati rafforza la propria concentrazione.

Esprimere il nostro potenziale

Il flow è diventato un concetto molto diffuso nella psicologia positiva degli ultimi dieci anni, perché aiuta a vivere una vita più felice e ricca emotivamente. Il flusso ci permette, infatti ,di attingere al nostro pieno potenziale. Vederci dare il meglio di noi stessi accresce la nostra autostima oltre a darci un significato. Avere uno scopo è essenziale per la nostra felicità.

Anche se è impossibile vivere tutto il giorno nel flow, è raccomandabile avere un’attività quotidiana che crea flusso per rafforzare la fiducia in noi stessi e il senso di soddisfazione. Provate ad inserire, quindi, nella vostra routine quotidiana un’attività che vi ispiri gioia, senso di appagamento: un’attività sportiva, un hobby, una passione. Io il mio flow l’ho trovato. E’ la scrittura. Lo dimostro ogni settimana con i miei articoli. Sono loro che mi permettono di stare sempre nel flusso…

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L’Intelligenza emotiva ci migliora la vita

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Avete mai pensato a come vivremmo bene se tutti fossimo dotati di un elevato grado di intelligenza emotiva? Ci capiremmo meglio, ci rispetteremmo di più, non avremmo conflitti. Perché l’intelligenza emotiva eleva la nostra empatia, la nostra capacità di gestire le emozioni. E’ infatti il punto di congiunzione fra l’intelligenza, quella misurata in QI ( quoziente intellettivo) e le emozioni.

A trattarla per la prima volta sono stati nel 1990 i professori Peter Salovey e John D.Mayer che, in un articolo,  “Emotional Intelligence” definiscono l’intelligenza emotiva come “La capacità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e i ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”. Poi la divulgazione del concetto è stata possibile grazie a Daniel Goleman che, con il suo libro pubblicato nel 1995, “L’intelligenza emotiva” ha permesso il diffondersi di questa nuova competenza.

Le caratteristiche fondamentali dell’IE

Io sono affascinata da sempre dall’argomento. Sarà il mio interesse per le emozioni, per la capacità di saperle esprimere, ma dell’intelligenza emotiva mi sono sempre interessata, ho studiato, approfondito. Da ultimo ho seguito anche un Corso per conseguire l’Emotional Intelligence Pratictioner Certification e il mio interesse è continuato a crescere. Vediamo di spiegare le ragioni di questa mia fiducia nel magico potere dell’intelligenza emotiva. Secondo Daniel Goleman, le caratteristiche fondamentali sono 5:

  1. Consapevolezza
  2. Autocontrollo o padronanza di sé
  3. Motivazione
  4. Empatia
  5. Abilita sociale

La consapevolezza

E’ la capacità di riconoscere, capire e gestire gli stati d’animo, gli impulsi. E’ la chiave di tutto : capire chi siamo , cosa desideriamo, i nostri bisogni, qual è il nostro scopo, purpose, come dicono gli anglosassoni. Per poter giungere alla consapevolezza occorre fare un’autovalutazione per poterci conoscere meglio e capire le nostre priorità. La consapevolezza ci porta ad essere presenti e indirizzare le nostre azioni verso quello che desideriamo realizzare. In questo modo non veniamo sopraffatti dalle emozioni, al contrario siamo in grado di riconoscerle e attivarle a seconda della necessità. Per un’analisi della nostra consapevolezza sugli stati emotivi, può essere utile rispondere al questionario, che trovate qui sotto , che avevo anche proposto nell’articolo sulle gestione delle emozioni. Un altro esercizio utili per accrescere la consapevolezza è fare una lista delle emozioni e degli stati d’animo che proviamo durante la giornata. E’ utile per capire quali sono le emozioni positive e quelle negative. Proviamo a fare questo esercizio per una settimana, a fine giornata, prima di andare a letto. E’ una sorta di termometro emotivo, che ci rivelerà molto di noi.

Autocontrollo o padronanza di sé

Significa saper reindirizzare le emozioni prima di passare all’azione. Proviamo, ad esempio, questo esercizio. Pensiamo di avere a disposizione un pulsante, un pulsante rosso, come spesso si vedono nei telequiz. Tutte le volte che ci sentiamo sopraffatti da un’emozione, pensiamo mentalmente di schiacciarlo e metterlo in pausa. Come ci sentiamo? E’ importante visualizzarlo, perché la nostra mente percepisce un impulso che le comunica di cambiare atteggiamento. E’ uno stop che arriva e ci distoglie dall’emozione che stiamo provando. Per acquisire maggiore padronanza di sé, studi scientifici hanno individuati che esistono dei cosiddetti “cancelli mentali”. Il cervello infatti elabora un sistema di cancelli : quando se si sta provando un’emozione, viene chiuso. Abbiamo quindi la possibilità di disinnescare l’emozione negativa, aprendo la porta ad una positiva. Un altro strumento per controllare la propria emozione è anche quello di innescare un’azione fisica: respirare profondamente ad esempio, o camminare, fare una passeggiata. Quante volte ci è capitato di sentirci stressati, arrabbiati e uscire di casa per fare un giro? Come è stato il nostro stato d’animo al rientro? Non abbiamo provato un immediato beneficio? Utilizziamo questo semplice atto. Semplice, ma molto efficace.

Motivazione

E’ la comprensione di quello che ci spinge all’azione. E’ il motore che ci induce a metterci in gioco e fare sempre meglio. E’ anche la spinta all’autorealizzazione, l’impulso a migliorarsi. In ambito professionale le persone con questa competenza sono persone orientate al risultato, con uno slancio a raggiungere i propri obiettivi, provano a migliorare sempre le proprie prestazioni. Goleman parla di neurologia della motivazione, e attribuisce all’amigdala, ( una particolare regione pari del cervello, sede di svariati nuclei nervosi, che appartiene al lobo temporale e prende parte al cosiddetto sistema limbico). il potere di guidarci verso ciò che per noi conta di più .L’amigdala è la componente di una “porta neuronale” attraverso tutto ciò che ci interessa, tutto ciò che serve a motivarci, entra e viene pesato in base al suo valore come incentivo.

L’empatia

L’empatia è l’abilita che ci consente di entrare in contatto con gli altri, che ce li fa comprendere. E’ la capacità di sentirsi connessi, non ragionare in termini egoistici , ma in termini collettivi. E’ il passaggio dall’io al noi. E’ l’abilità che ci farebbe vivere in un mondo in cui il bene individuale passa anche attraverso il bene di coloro che ci circondano. Non è il mondo dell’utopia, ma il mondo della realtà nella quale c’è spazio per tutti e tutti, insieme, possiamo sostenerci per vivere in maniera armoniosa. Le persone dotate di empatia sanno ben integrarsi, sul luogo di lavoro creano un ambiente di collaborazione e di fiducia. Daniel Goleman nel suo best seller Intelligenza Emotiva sostiene che l’empatia si basa sull’autoconsapevolezza: quanto più siamo aperti alle emozioni tanto più abili saremo nel leggere i sentimenti altrui. Un mondo di emozioni. Positive, ovviamente.

L’abilità sociale

L’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri ha come risultato la possibilità di sapere instaurare buone relazioni. E’ l’altra fondamentale abilità propria dell’intelligenza emotiva. Cogliere le emozioni altrui è il punto di partenza per questa intelligenza sociale. E’ la capacità di cogliere le correnti emotive che si stabiliscono fra le persone, potenziando quelle positive e cercando di disinnescare quelle negative. Essere dotati di un elevato quoziente emotivo significa sapersi rapportare con gentilezza e altruismo. E qui torna la domanda inziale: che mondo sarebbe se fossimo tutti dotati di intelligenza emotiva? Un mondo di reciproca comprensione e cooperazione. Impegnamoci quindi a sviluppare la nostra intelligenza emotiva. Dipende solo da noi.

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Come gestire le emozioni

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Saper riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni è indice di intelligenza emotiva. Mettere un filtro alle proprie emozioni consente di non essere dominati da esse. Lo abbiamo sperimentato tutti: avere un atteggiamento calmo, equilibrato ci aiuta ad affrontare la quotidianità, le difficoltà o anche le situazioni inaspettate in maniera serena, senza farsi prendere dal panico. Che non significa essere freddi e distaccati. Al contrario. L’empatia è una delle caratteristiche principali dell’intelligenza emotiva, sapersi mettere nei panni degli altri, con un atteggiamento di profonda comprensione e compassione. L’etimologia della parola emozione lo spiega bene: viene dal latino e moveo : muovo fuori. Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazione psicologiche a stimoli esterni e interni, naturali e appresi.

Le emozioni primarie

Lo psicologo americano Robert Plutchik ha creato un modello, la ruota delle emozioni, in cui esplicita 8 emozioni primarie: gioia, fiducia, paura, sorpresa, tristezza, aspettativa, rabbia e disgusto. Saperle individuare, una volta che si palesano, ci aiuta a scegliere le emozioni con le quali vogliamo vivere. Esistono 3 diverse tipologie di persone emotive:

  1. Gli “inghiottiti”: coloro che sono sovrastati dalle emozioni, che non le sanno controllare, e per queste ne risultano risucchiati e fagocitati.
  2. Gli “accettanti” : non ne sono investiti , ma le accettano così come sono, senza far nulla per poterne comprendere le cause. Sono per lo più i depressi, coloro che vivono in maniera qusi rassegnata il loro stato emotivo.
  3. I “consapevoli”: sentono quando l’emozione sta per palesarsi e pertanto sanno come gestirla.

La consapevolezza per vivere con equilibrio

Il primo passo per poter vivere in maniera equilibrata è dunque essere consapevoli. Questo ci permette di poter avere una regolazione emotiva: saper controllare le emozioni significa saper attivare quelle positive, la gioia e la fiducia, secondo la classificazione di Plutchick. Ma significa anche, quando siamo in presenza di emozioni negative, di capirne il grado e, conseguentemente, disinnescarle. Un esercizio di Coaching che suggerisco è quello di annotare tutti i giorni, per una settimana, gli stati emotivi che proviamo più frequentemente nell’arco della giornata. Su un foglio a parte invece annotiamo, da un lato, l’esperienza e dall’altra la reazione che ne scaturisce. Questo ci consente di rendere conscio il nostro stato d’animo.

Le emozioni sono generate dai pensieri

Spesso le emozioni nascono dai pensieri. Da credenze che abbiamo rispetto a noi stessi. E’ importante capire quello che noi pensiamo di noi. Ritenerci non sufficientemente all’altezza, innesca sentimenti di frustrazione, che possono sfociare in depressione e mancanza di autostima. Anche il linguaggio che usiamo per descriverci incide sulle emozioni. Se cambiamo i nostri convincimenti negativi, cambieranno anche le emozioni collegate. Cambiare in positivo i pensieri che proviamo influenza le emozioni che si voglio provare. Non ci credete? Provate a fare questo esercizio: scrivere i convincimenti negativi e virarli al positivo. Un esempio : ” Non sono sufficientemente all’altezza di gestire questa situazione” trasformato in ” Ho le capacità di affrontare questa situazione utilizzando le risorse che ho a disposizione”. Vedete come è semplice? E’ la nostra mente, con i nostri convincimenti autolimitanti che ci fa spesso sentire inadeguati e conseguentemente tristi, generando l’emozione della tristezza. Un atteggiamento benevolo verso noi stessi, ci porta a vedere le situazioni sotto una luce diversa nuova. Come dice Amanda Gorman, la giovane poetessa statunitense chiamata a recitare un suo componimento, durante a cerimonia di inaugurazione di insediamento di Joe Biden e Kamala Harris ” C’è sempre una luce, solo se siamo abbastanza coraggiosi da vederla”.

Accrescere la consapevolezza

Per accrescere la nostra consapevolezza e riconoscere le nostre emozioni, può essere utile anche rispondere a queste domade:

  1. Come ti relazioni con gli altri?
  2. Quando ti sei svegliata questa mattina come ti sentivi?
  3. Quando sei andata a dormire ieri sera, come ti sentivi?
  4. Come reagisci quando le persone intorno a te sono arrabbiate, tristi o frustrate?
  5. Come reagisci quando le persone sono felici?
  6. Quali sono i comportamenti positivi che esprimi di più?
  7. Quali comportamenti negativi esprimi di più?
  8. Come ti comporti con i tuoi famigliari o amici?
  9. Che comportamenti hai quando sei felice e rilassata?
  10. Che comportamenti hai quando sei arrabbiata o frustrata?

Essere consapevoli delle proprie emozioni è il primo passo per poterle cambiare. Ci vuole coraggio, direbbe Amanda. E il coraggio non è un’emozione. E’ una risorsa.

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Mi regalo la serenità

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E se il regalo fosse la serenità? Sì, proprio la serenità, di cui tutti abbiamo tanto bisogno. Perché l’anno che si è appena concluso, il 2020, ci ha fatto vivere con tanti sentimenti, emozioni, ma forse la serenità non è stata fra quelli. Eppure, se non siamo stati colpiti nella salute, fortunatamente, qualche motivo per vivere qualche istante di serenità lo abbiamo avuto. Il 2020 è stato un’orribile annata, lo sappiamo, ma qualcosa ci ha insegnato. Ci ha fatto riscoprire il valore degli affetti, delle relazioni, del tempo a disposizione per leggere, approfondire, studiare.

Un anno di crescita

Io, se devo essere sincera, al netto di tutti i lavori che purtroppo non si sono potuti realizzare, ho avuto tempo per poter investire sulla mia formazione, frequentando molti corsi online, che mi hanno permesso di aggiornarmi e acquisire nuove competenze. Ho potuto – e per questo sono eternamente grata alla mia amica Enza di Parry & Associati– aprire questo blog, un sogno che coltivavo da anni e che solo il maggior tempo a disposizione, la disponibilità d’animo e mentale mi ha permesso di portare a compimento. Ho potuto così investire sulla mia brand identity, valore fondamentale per chi vuole comunicare, soprattutto nel mio settore, quello del Coaching.

Fermarsi per andare avanti

Perché, tra le cose che ho imparato, vi è che occorre fermarsi per poter riflettere e interrogarsi se vogliamo crescere, evolverci e migliorare. Correre e rincorrere mille impegni non ci porta da nessuna parte. Bisogna sapersi fermare e sapersi ascoltare. E’ uno degli insegnamenti che questa pandemia ci ha dato. Che correre a perdifiato non ci porta da nessuna parte. Anzi ci porta a sbattere. La lentezza e i ritmi più pacati sono stati un altro insegnamento di questa pandemia. Non aver paura di stare tranquilli a pensare, riflettere e meditare. Che l’inazione non è uno stato per il quale dobbiamo provare sensi di colpa. Fermarsi, respirare. Non essere continuamente in apnea. Sentirsi sempre in affanno e in ritardo su tutto. Se un’altra importante lezione la pandemia ci ha dato, è quella che tutto è rimandabile. Non dobbiamo scapicollarci e riempirci di impegni per colmare i vuoti che proviamo quando non abbiamo l’agenda fitta di impegni. E’ stata per tanti anni la malattia dei primi anni del Ventunesimo secolo. Il terrore di non fare, correre, agire. Se non eravamo frastornati da appuntamenti, riunioni ci sentivamo persi. Il tempo libero ci ha sempre fatto paura, non siamo stati abituati a stare in silenzio con noi stessi. Noi stessi siamo l’altra grande scoperta del 2020. Quanto ci conoscevamo? Quanto ci permettevamo di stare da soli con noi stessi?

Partire da noi stessi

La pandemia ci ha messo di fronte a nuove situazioni, eventi mai sperimentati prima. E come abbiamo reagito? Abbiamo provato a trovare soluzioni nuove per affrontare situazioni inaspettate. Il bel docufilm di Gabriele Salvatores “Fuori era Primavera” ci ha ben descritto i comportamenti e la capacità di adattamento, che ciascuno di noi ha messo in campo per affrontare un nemico nuovo e per certi aspetti imbattibile, specie all’inizio. Ma l’essere umano ha una grande capacità di adattamento e ha saputo ricorrere a mezzi e strumenti nuovi per affrontare la nuova realtà. Quindi è tutto da buttare questo benedetto 2020? Spesso impariamo più da coloro che ci mettono alla prova, facendoci piangere, soffrire. Sono loro i veri maestri. E il Covid 19 per certi aspetti è stato un grande maestro. Ci ha fatto scoprire chi siamo veramente e di che cosa siamo capaci. Ci ha fatto scoprire tutti resilienti. E prima neanche lo sapevamo.

Le domande potenti

Cosa ci ha dunque insegnato la pandemia? Proviamo a rispondere alle domande che trovate sotto il link. Ci aiuteranno a capire un po’ di più di noi stessi. Ci aiuteranno a comprendere che nell’anno appena trascorso siamo cambiati. Siamo cresciuti. O semplicemente abbiamo imparato a conoscerci meglio.

Come affrontare il futuro

Con quanto abbiamo appreso in questi mesi, che sono sembrati decenni, come ci stiamo preparando ad affrontare il futuro? Abbiamo gli strumenti per poter affrontare con più serenità i giorni che ci attendono? Proviamo a fare un altro esercizio di Coaching. Prendiamo un foglio e dividiamolo in due colonne. Su un lato, in alto scriviamo “Vecchio me”, sulla colonna accanto “Nuovo me”. Cosa è cambiato? Cosa farò di più? Cosa farò di meno? Cosa farò in maniera diversa? Come sono cresciuto? Cosa sono disposto a lasciar andare per affrontare il nuovo anno? Cosa mi serve per amarmi di più? Sono risposte fondamentali per affrontare con serenità il 2021.

Un percorso utile e necessario per poter affrontare con maggiore consapevolezza il nuovo anno che ci attende. Un percorso che ci aiuta a capire quali risorse abbiamo al nostro interno per poter affrontare le nuove situazioni che ci attendono. Perchè dentro di noi ci sono tutte le risposte.

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Felicità: istruzioni per l’uso

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La parola felicità può essere considerata fuori luogo in questi giorni. Eppure, in questi ultimi mesi, tempi in cui quasi abbiamo quasi paura a pronunciarla, causa la pandemia, mi sono capitati fra le mani ben 3 libri che riportano la parola felicità nel titolo: “Il permesso di essere felici”, la recente pubblicazione della brava Lucia Giovannini, il “Il permesso di essere felice” di Meik Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copenaghen e il già citato ” La trappola della felicità” di Russ Harris.

Il recente workshop

Bene, forse sollecitata da queste letture e soprattutto alla ricerca del significato della parola felicità, specie in questi giorni che di felici hanno ben poco, abbiamo deciso di dedicare all’argomento il nostro ultimo workshop di ArtCoaching: “Coltiviamo il nostro giardino della felicità”. E’ stata dunque l’occasione per una riflessione e una ricerca sulle fonti della felicità, in una chiave esistenziale. La frase che racchiude la mia idea di felicità l’ha sintetizzata Gandhi ” La felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici e ciò che fai sono in armonia”. La pura consapevolezza. La pura presenza. La coerenza, l’autenticità. Perfezione e massima chiarezza. Un concetto universale, che prescinde dalle contingenze del momento.

I paesi più felici al mondo

Prima di esaminare il percorso che conduce a questa crescita di consapevolezza, è interessante fare un piccolo giro intorno al mondo e vedere cosa ci dicono le ricerche sulla felicità. La fonte è l’Happiness Research Institute, che stila una classifica triennale dei paesi più felici al mondo. Il dato da cui siamo partiti mi ha colpito. Sapete quante sono le persone al mondo che dicono di essere felici? il 3%. Una percentuale bassissima, se consideriamo anche il numero della popolazione mondiale: quasi 8 miliardi. La percentuale ci dice che circa 24 milioni di persone al mondo sono felici. Il World Happiness Report, nel triennio 2017-2019, stila una classifica di 153 paesi per misurarne la felicità. Ai primi posti gli scontati paesi scandinavi: Finlandia, Danimarca, Svizzera, Islanda, Norvegia, seguiti da Svezia, Nuova Zelanda, Austria. E l’Italia? Noi siamo al 30° posto. Mentre all’ultimo, il 153 posto troviamo l’Afghanistan, preceduto dal Sud Sudan.

La libertà di scegliere

Il Report ci dice anche che ” Nessuno può dirsi felice se non ha la sensazione di scegliere il corso della propria vita” . Quindi è la libertà ad indicare il grado di felicità. Liberta di espressione, di scegliere la strada da percorrere. E utilizzando la libertà come metro di giudizio non possiamo che capire le ragioni per le quali troviamo i paesi sopracitati ai primi posti. Lo conferma anche lo Human Freedom Index del 2017 che vede la Svizzera al primo posto, seguita da Nuova Zelanda, Irlanda.

Le 10 chiavi della felicità

Questo è quanto viene analizzato a livello istituzionale. Ma ad un livello più personale e individuale? Qui sotto troviamo una classifica che possiamo definire i 10 passi verso la felicità. Sono frutto di una riflessione personale, che si incrocia con suggerimenti da parte di Action for Happiness, organizzazione che conta oltre 115 mila persone in 174 paesi.

  1. Conosci te stesso – γνῶϑι σεαυτόν è scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, luogo da cui emana ancora oggi tanta energia. E conoscere se stessi è la base per poter vivere una vita serena, autentica, consapevole.
  2. Provare gratitudine- Il tema della gratitudine è un tema al quale faccio ricorso sempre, perché mi è molto caro. Significa essere consapevoli di tutto ciò che si ha, di ciò che la vita ci regala ogni giorno. Un atteggiamento grato si accompagna ad un atteggiamento volto a vedere quello che abbiamo senza soffermarsi sulle mancanze.
  3. Avere buone relazioni- Coltivare le buone amicizie, buoni rapporti con i famigliari improntando sempre tutte le relazioni alla comprensione, all’accoglienza, all’inclusione, all’aiuto verso chi ha bisogno, alla presenza.
  4. Avere un obiettivo- Quanta soddisfazione proviamo quando raggiungiamo i nostri traguardi? Quando, dopo aver messo a fuoco ciò che vogliamo raggiungere, esaminiamo le risorse a nostra disposizione, realizziamo il nostro piano d’azione e siamo in grado, infine, di raggiungere i nostro obiettivi non ci sentiamo felici? Da Coach provo una grande soddisfazione quando vedo i miei Coachee felici e soddisfatti per aver ottenuto la gratificazione di veder concretizzato ciò che desideravano da tempo. Qui la felicità è doppia: mia e dei miei Coachee.
  5. Imparare cose nuove- Non si finisce mai di imparare e l’apprendimento è uno stimolo continuo ad evolversi, crescere, cercare sempre più risposte, che producono nuove domande. E’ la gioia della conoscenza, una fonte che non esaurisce mai.
  6. Essere gentili- Alla gentilezza abbiamo dedicato numerosi articoli. Essere gentili fa bene. Si produce più ossitocina, uno degli ormoni del benessere. L’Università della British Columbia ha condotto uno studio su un gruppo di persone ansiose. Dopo che queste hanno compiuto atti di gentilezza per un mese, gli stati d’animo d’ansia sono diminuiti e sono aumentati gli stati d’animo positivi.
  7. Accettarsi – Accettare se stessi per come si è, rispettarsi, amarsi è un altro importante elemento per poter vivere una vita felice. Stare bene con sè stessi significa anche avere relazioni soddisfacenti con gli altri. Non dimentichiamolo. Se non siamo noi i primi a volerci bene, come possiamo pretendere che lo facciano anche gli altri?
  8. Avere un atteggiamento positivo – Cerchiamo di vedere il mondo con occhi positivi, esaltando ancora una volta quello che di bello esiste nella nostra vita. Un atteggiamento positivo è anche un atteggiamento di grande resilienza, che ci aiuta a risollevarci velocemente dalle situazioni difficili.
  9. Tempo libero – Il tempo è una risorsa sempre più preziosa. Aver tempo per sé stessi, per dedicarsi alle proprie passioni. Tempo da dedicare alle persone care. Fermarsi a riflettere, dedicarsi all’ozio creativo, come dice il sociologo De Masi.
  10. Dare un significato alla nostra vita – Avere uno scopo, un fine verso il quale dirigersi. Capire qual è il nostro posto del mondo. Questa è la felicità. ” Perché lo scopo della nostra vita è essere felici” come dice Sua Santità il Dalai Lama.
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